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Giardini e Suq dell'anno Mille: l'affascinante teoria sulle origini di Ballarò a Palermo

Un manoscritto ci potrebbe rivelare che al posto di Casa Professa sorgeva un popolato Hārat sino al 1259 dove vivevano insieme ebrei e cristiani: i futuri mercanti della città

  • 15 marzo 2019

Anche il palazzo della Zisa (completato nel 1175) sorgeva fuori dalle mura di Palermo (disegno ricostruttivo)

Seguendo gli interessanti sviluppi sugli studi della storia urbanistica della madīna al-siqilliyya, cioè della città di Palermo, mi sono imbattuto nel saggio dello studioso Jeremy Johns della University of Oxford sulla "Nuova carta della Sicilia" e della relativa topografia di Palermo.

Il testo originale e la pianta sono di proprietà della Bodleian Library dell’Università di Oxford che li acquisì nel giugno del 2002 e che gli studiosi, per ipotesi, ritengono che siano una copia duecentesca o trecentesca di un precedente manoscritto arabo dell’anno 1020 e che l’autore provenisse dall’Egitto ed avesse conoscenze dirette dei luoghi descritti, con dei particolari che nella ricopiatura del testo, purtroppo, sono andati perduti e che hanno avuto ricadute, con errori dovuti alla mancanza di conoscenza dei luoghi di chi ricopiava, anche nella mappa allegata per quanto riguarda la Sicilia ma con informazioni molto dettagliate per la città di Palermo.
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Dopo questa premessa, sfogliando il saggio suddetto, mi sono venuti sott’occhio due quartieri interessanti: l’Hārat Hufrat Gullān (tradotto "Quartiere della Fossa delle acacie") e l’Hārat Kanīsat al-Furū (tradotto "Quartiere della chiesa della Letizia"), cioè di una zona con delle caratteristiche particolari: area al di là del Kemonia, molto fiorente e popolosa (con forte presenza di elementi cristiani ed ebraici), la presenza della chiesa della Letizia, la parola Hufrat (tradotto "Fossa").

Nell’articolo in questione Johns ipotizzava di identificare l’area con San Michele De Chufra nel quartiere Ballarò all’Albergheria, ipotesi davvero affascinante anche perché l’intera zona coincide con l’area cimiteriale paleocristiana della chiesa del Gesù (Casa Professa per intenderci), che la fa ricollegare alla etimologia Hufrat (fossa).

Difatti, limitrofi all’edificio Gesuita si trovano attualmente altre chiese tra cui San Crispino e Crispiniano, San Michele de Indulciis (o de andalusis), e San Nicola de Cufra (da ritenersi la chiesa Parrocchiale dell’Albergheria) e chiese ipogeiche e/o percorsi sotterranei quali la chiesa Santa Maria de Crypta, assorbita dalla costruzione della chiesa del Gesù, San Michele Arcangelo e grotte come quelle dei Quaranta Martiri al Casalotto, di Santa Parasceve e San Pancrazio e cimiteri come quelli di San Nicolò de Chufra.

E su quest’ultima, su San Nicolò de Chufra e sul suo cimitero, che la mia attenzione si posa, ne parlava già Salvatore Cusa alla fine dell’Ottocento e come attestato nel contratto di enfiteusi del 9 novembre 1259 tra Matteo figlio di Senia, cittadino di Palermo e Filareto Abate del Monastero di Santa Maria della Grotta.

Pertanto, utilizzando i due punti focali San Nicolò de Chufra e San Michele de Chufra, possiamo ritenere che questa ampia zona dell’Albergheria già nel periodo indicato nel manoscritto era un Hārat molto popolato e con un fiorente mercato, sviluppatosi all’esterno dell’al-Quasr (intesa come area della città vecchia, quindi all’esterno del centro del potere), che comprendeva vaste aree a giardino sino al 1259 e che era popolato prevalentemente da cristiani ed ebrei, poiché ricordiamoci che il Casalotto (area Quaranta Martiri) rientra nel Guzzet, ed in ultimo che era una zona dove ancora esisteva una forte presenza di chiese cristiane e greche con i propri cimiteri sotterranei.

Il "Quartiere della Fossa delle acacie" ed il "Quartiere della chiesa della Letizia" secondo questi dati non sono altro che l’Albergheria, magnifico Hārat e Suq, germoglio delle corporazioni dei mercanti Palermitani.
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