STORIA E TRADIZIONI
Governò la Sicilia (ma non era un re): qual è la vera storia di Ruggiero Settimo
La sua figura carismatica tornò in auge durante la rivoluzione siciliana del 1848, quando Settimo divenne capo del governo: aveva 70 anni. La sua storia

Il monumento a Ruggiero Settimo
Nato a Palermo il 19 maggio 1778 da "nobilissima famiglia siciliana" (il padre Traiano apparteneva ai principi di Fitalia e la madre Maria Teresa Naselli era figlia del principe d’Aragona), ebbe tre sorelle, Maria Ignazia, Stefania e Agrippina, che scelsero la vita monastica, e due fratelli, Luigi, morto in tenera età, e Girolamo, il primogenito, che ereditò il titolo nobiliare e il patrimonio familiare.
Rimasto orfano di padre nel 1783, a tredici anni entrò a servire in marina e si guadagnò tutti i gradi, fino a quello di Ammiraglio. Dopo tre anni trascorsi sul mar Tirreno per dare la caccia ai barbareschi, fece ritorno a Napoli nell’autunno del 1798.
Seguì la famiglia reale in esilio in Sicilia, sia nel 1799, che nel 1806: con l’esercito disciolto, la Marina rappresentava la sola forza al servizio della Corona.
Nel 1811 tuttavia per problemi di salute preferì ritirarsi dalla carriera militare e l’abbandono della navigazione coincise con l’esordio dell’attività politica: venne introdotto nei circoli politici palermitani dall’amico Carlo Cottone, principe di Castelnuovo.
Nel 1812 l’Inghilterra impose a Re Ferdinando una costituzione modellata su quella Britannica, Ruggiero Settimo venne proposto come ministro di Guerra e Marina nel 1812; in questa veste riordinò le milizie e lo stato maggiore e creò l’Ufficio topografico militare. Si dimise però nel 1816, subito dopo l'abrogazione della Costituzione siciliana.
Durante i moti del 1820-1821, Settimo fece parte del governo provvisorio di Palermo. Si mise ai voti la scelta indipendentista, e i due terzi dell'isola si espressero favorevolmente.
Il 7 novembre 1820 il re inviò la flotta e 5000 uomini agli ordini di Florestano Pepe (che poi sarebbe diventato amico di Settimo) e la Sicilia venne riconquistata attraverso lotte sanguinose; venne ristabilita la monarchia napoletana.
Settimo accettò di far parte del decurionato di Palermo che il 14 aprile 1821 firmò "l'atto di soggezione" e ciò all’epoca gli costò l’odio dei liberali siciliani.
Lasciò dunque la vita politica ma nel 1837, in occasione della terribile epidemia di colera scoppiata in Sicilia, fu supremo magistrato di salute pubblica.
La sua figura carismatica tornò in auge durante la rivoluzione siciliana del 1848, quando Settimo divenne capo del governo: aveva 70 anni. La mattina del 12 gennaio 1848, giorno del suo trentottesimo compleanno, re Ferdinando II trovò al suo risveglio una bella sorpresa: a Palermo era scoppiata un’accesa rivolta che avrebbe sottratto tutta l’isola alla corona borbonica per sedici mesi.
Ruggiero Settimo, che aveva aderito subito al comitato provvisorio di Palermo, con fervore incitava il popolo siciliano durante l'insurrezione: «Sono 33 anni, che il potere esecutivo non ha convocato il nostro parlamento.
È da tal epoca, che alle antiche leggi politiche si è sostituito l’assolutismo, ed a questa usurpazione di legittimi diritti è seguita la miseria dei proprietari e l’annichilamento di ogni industria per lo sovraccarico di dazi e di vincoli, che son l’unico mezzo ed il solo intento di coloro, che lasciando l’autorità di re han prediletto quella di tiranni.(…) Siciliani! Seguiteci.
La nostra guerra è legittima, e poiché poseremo le armi, e riapriremo il nostro parlamento vedrete che significhi per un popolo esser libero, e come diminuiti i dazi, che sono il vero cancro del nostro paese, e tolti i vincoli nelle industrie, questa terra divenga fiorente.
Siciliani! Non cacciarono i nostri padri l’infame Carlo d’Angiò e non difesero Federico aragonese contro tutta Europa? Che saran quindi le armi di Ferdinando II contro tutto un popolo che vuole? Siciliani? È gettato il dado: compiamo la santa causa! Viva Pio IX! Viva la Sicilia! Viva i nostri fratelli italiani!
Palermo, 17 gennaio 1848» In ragione della sua grande esperienza politica fu scelto come capo del governo provvisorio e in questa veste gestì i rapporti con la monarchia, rifiutando le concessioni sovrane, che prevedevano anche la sua nomina a luogotenente.
Il 25 marzo 1848 vi fu la solenne apertura dopo oltre 30 anni del Parlamento di Sicilia presso la chiesa di San Domenico e il giorno seguente Ruggiero Settimo fu eletto all’unanimità Presidente del governo indipendente del Regno di Sicilia.
Il 13 Aprile dichiarò: “Ferdinando Borbone e la sua dinastia sono sempre decaduti dal suolo di Sicilia”. Il 10 luglio 1848 venne proclamato lo Statuto costituzionale del nuovo Regno.
La neonata Seconda Repubblica Francese e il Regno Unito si impegnarono proteggere il neonato Regno di Sicilia a patto, che esso favorisse la candidatura di un re di Casa Savoia o degli Asburgo di Lorena.
Le capacità di mediazione di Settimo ( che era stato dichiarato il 10 maggio Inviolabile, e il 10 luglio era stato nominato Tenente Generale dell’Esercito Nazionale) non riuscirono a impedire la crisi di governo del mese di agosto, quando il Parlamento scelse di offrire la corona dell'isola al duca di Genova Ferdinando di Savoia (figlio di Carlo Alberto Re di Sardegna) che sarebbe diventato re dell'isola con il nome di Alberto Amedeo I di Sicilia, ma questi non accettò.
L’isola, dopo il rifiuto del duca di Genova, ebbe un governo senza carica centrale e diventò instabile. Il Parlamento e l’esecutivo erano percorsi da lotte intestine, avevano il problema delle finanze – sull’orlo del dissesto – e quello della difesa, che risentiva dell’assenza di un esercito regolare. Intanto i 16000 uomini guidati da Carlo Filangieri principe di Satriano per riconquistare l’isola, il 13 settembre prendevano Messina, dopo pesantissimi bombardamenti che avevano ridotto in macerie interi quartieri della città.
Dopo una breve tregua, nel febbraio del 1849, quando per bocca di Ruggiero Settimo i siciliani rifiutarono un nuovo statuto proposto dal re, ripresero le ostilità: Catania fu furiosamente bombardata e riconquistata e dopo una settimana anche Augusta, Siracusa e Noto caddero.
In quel contesto drammatico Ruggiero rimase l’uomo simbolo della rivoluzione e successe alla guida del governo di Pietro Lanza, principe di Butera ai primi di marzo. Venne proclamato all’unanimità «padre della patria», e fu incaricato di formare l’ennesimo esecutivo, ma il compito si rivelò molto arduo. Nelle ultime fasi dell’insurrezione la flotta borbonica sbarcò a Mondello il 24 aprile, il 5 maggio il principe di Satriano occupò Bagheria e il 13 giugno prendeva il possesso di Palermo.
Conquistata Palermo, il Re concesse l’amnistia: Ruggiero Settimo ne fu escluso; si imbarcò sulla nave inglese HMS Bulldog e salpò per Malta (allora territorio britannico), dando inizio alla sua vita da esule. A Malta venne accolto con gli onori di un capo di Stato e divenne punto di riferimento per molti esuli politici.
In quegli anni Ruggiero modificò la sua ideologia, allontanandosi dalle posizioni autonomiste, in favore del modello unitario. Seguì con interesse le vicende belliche del 1859 e alla notizia dello sbarco di Marsala esultò disapprovando il nipote Pietro (figlio del fratello Girolamo), che pochi mesi prima aveva accettato l’incarico di intendente a Catania, schierandosi a fianco della monarchia borbonica.
Si rammaricò di non poter lasciare Malta– a causa dei suoi problemi di salute - per partecipare all’unificazione italiana e fu anche costretto a spedire per posta la sua scheda di voto per il plebiscito. Dopo l’annessione venne nominato nel 1861 in absentia presidente del Senato. Morì a La Valletta il 2 maggio 1863 e i suoi funerali furono celebrati nella chiesa di San Domenico, dove è stato sepolto.
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