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I miracoli delle reliquie della Passione in Sicilia: dove l'angelo portò le spine di Gesù

Distribuita per tutta la cristianità, la reliquia della croce ha garantito miracoli anche in occasioni di calamità naturali di vario genere e dato vita a feste e leggende

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 4 settembre 2022

Il legno della croce di Cristo ha esercitato una fascinazione così potente, che anche i devoti siciliani si consumavano (e si consumano) nell’intimo dal desiderio di vederlo, toccarlo, baciarlo, se possibile.

Papi, Vescovi, nobili e miracolose vicende hanno soddisfatto questo struggente desiderio, non facendo mancare in tantissime città ed anche in piccoli villaggi dell’Isola una intera Croce del Cristo o almeno un suo frammento.

Tutto cominciò quando l’imperatore Costantino decise di cercare le reliquie perdute della Passione di Cristo e sua moglie Elena seppe che durante alcuni scavi a Gerusalemme erano stati rinvenuti tre croci di legno con tre chiodi.

Distribuita fisicamente e tangibilmente per tutta la cristianità mondiale ed anche siciliana, la reliquia della croce ha garantito miracoli (ad essa ci si è affidati anche in occasioni di calamità naturali di ogni genere), ha dato vita a feste e leggende, ha sviluppato una oreficeria ammirevole (per la necessità di realizzare preziosi reliquiari) e naturalmente ha arricchito chiese e monasteri che custodiscono un tale bene, in virtù delle offerte dei fedeli.
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Nel piccolo comune di Gratteri, a pochi chilometri da Cefalù, la leggenda vuole che un angelo si sia occupato di consegnare ad un agricoltore uno scrigno con le Sacre Spine della corona di Cristo, una scheggia del legno della Croce, un frammento del mantello insanguinato di Gesù e del velo di Maria.

Ancora oggi in un prezioso reliquario d’argento sono custodite quattro delle spine (di cui una spezzata) che si presume appartenessero alla corona di Gesù Cristo e la devozione risalirebbe ai tempi della dominazione Normanna.

Si narra che dei forestieri avevano rubato la reliquia la notte del 1400, ma, mentre stavano fuggendo, un impetuoso vento di scirocco li costrinse a buttarsi per terra per evitare di essere trascinati in un precipizio.

Furono ritrovati la mattina successiva da alcuni contadini che si recavano in campagna. I due malcapitati si meravigliarono del fatto che gli altri non avessero sentito la furia del vento mentre loro erano rimasti bloccati per terra a causa di esso.

Un contadino aiutandoli a rialzarsi si accorse della teca rubata e la riportò in chiesa. Fu proprio in quel momento che il vento cessò favorendo la fuga dei due ladri.

A Canicattini Bagni invece è stato il Papa Giovanni Paolo II a donare 4 frammenti della Santa Croce alla Chiesa Madre della cittadina iblea. Tale reliquia è esposta all’altare del SS. Cristo che custodisce il Sudario delle vittime della mafia.

Nell’abbazia di San Martino delle Scale fu Giuliano Mayali (quindicesimo secolo), monaco ma anche ambasciatore del Re Alfonso presso il Bey di Tunisi che assicurò al tesoro dell’abbazia le preziose reliquie della Santa Croce e della Sacra Spina, oggi conservate in altrettanti reliquiari, entrambi opera dell’argentiere Pietro di Spagna, realizzati nella seconda metà del XV secolo.

Provengono invece da Parigi due Sacre Spine della Corona che cinse il capo al Cristo conservate a Sciacca, nella chiesa di San Michele Arcangelo. Nella capitale francese, come è noto, c’è la più celebre delle corone di spine, ma i sovrani francesi nei secoli hanno donato tutte le spine a vari vescovi e nobili d’Europa.

Tre di queste spine sarebbero arrivate nel 1386 nella mani di Guglielmo II Peralta, Conte di Caltabellotta, e della sua devotissima moglie Eleonora D’Aragona, i quali donarono le Sacre Spine alla chiesa del costruendo monastero di Maria Santissima di Itria, conosciuta da secoli come Badia Grande a Sciacca e da questa sono state poi trasferite nella chiesa di San Michele Arcangelo nel 1901.

La "festa delle spine" a Sciacca era annoverata tra le maggiori solennità dell’Isola tanto che un gran numero di pellegrini – provenienti da paesi lontani – partecipavano.

Il primato della croce di legno più antica lo detiene però Casteltermini in provincia di Agrigento ed è custodita nell’Eremo di Santa Croce.

La croce è formata da tre tronchi di quercia a sezione quadrata, fissati l’uno con l’altro con tre chiodi. Presenta un aspetto rustico, con i segni del tempo passato ben visibili.

Sono presenti anche delle incisioni, tra cui nella parte superiore spicca la scritta I.N.R.I, subito sotto due segni. Narrasi che "una vacca pascolante con altre nelle prossime terre occidentali di Vaccarizzo, inosservata, si allontanava, dirigendosi verso est, e arrivata nel mezzo della campagna di Chiuddia, nel pianerottolo nord-est dall’alto quadrivio della terrazza, mettevasi in ginocchio.

Ciò successe in vari giorni, onde accortisene i passanti e i pastori della mandra, si diedero curiosi a scavare lì sotto, e trovarono, maravigliati, la Croce sudetta”, racconta lo studioso Gaetano Di Giovanni.

L’ultima domenica di maggio, a Casteltermini, viene festeggiata la Santa Croce, in "La festa", che prende il nome di "Tataratà", è caratterizzata da una danza con le spade e da una sfilata di cavalli per le vie centrali del paese.

Una particolare Chiesa a Caltanissetta, dipinta di rosso, è la Chiesa Santa Croce. In principio era dedicata al Santissimo Salvatore, poi, nel 1590 venne intitolata alla Santa Croce. Tale denominazione fu attribuita in onore ad una reliquia offerta dalla contessa la Contessa Luisa De Luna Moncada.

Leggiamo nel Dizionario topografico della Sicilia, di Vito Amico che il monastero di San Nicolò l’Arena, sull’Etna (a Nicolosi), era celebre per i "sacri pegni della passione del Signore conservati in una cappella; non piccola reliquia della veste bianca, della porpora, della colonna, e della corona di spine ricevuta per beneficio dei principi aragonesi re di Sicilia.

Il frammento della croce chiuso in una teca e recalo appeso al collo da Martino I, un chiodo finalmente, creduto comunemente della divina destra, singolare ed insigne donativo del medesimo re".

Nelle eruzioni del 1536 e del 1537 la lava seppellì il vicino monastero di San Leone, mentre di monastero di San Nicolò fu solo danneggiato grazie ad un miracolo: i Padri Benedettini presero le Reliquie della passione e le portarono in processione, andando incontro al torrente di lava, che si fermò.
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