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I segreti della necropoli del Timpone nero: viaggio in un mondo antico (quasi) perduto

Spesso preda di "tombaroli" ha destato l'interesse di molti archeologi. Per Tusa la necropoli sarebbe potuta appartenere ad un altro abitato ancora sconosciuto

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 5 settembre 2022

La necropoli di Manicalunga-Timpone Nero

Dietro a ogni civiltà antica si nasconde una necropoli da scoprire. La storia archeologica è anche un’intuizione di spessore, manifestata con le scoperte di tombe di diverse forme, caratteristiche e particolari che evidenziano e spiegano il culto della morte dei popoli antichi.

Anche la città megarese di Selinunte, nella sua immensa grandezza, era caratterizzata da diverse necropoli (Timpone Nero, Galera-Bagliazzo, Manuzza, Pipio Brescia e contrada Buffa) sparse nel suo immenso territorio.

Una delle più grandi rinvenute in Sicilia è quella di Manicalunga-Timpone Nero. Immensa, piena di decine di migliaia di tombe, si trova ad ovest del fiume Modione e si estende in profondità per due-tre chilometri.

Gli scavi iniziarono nel 1872 ad opera dell’allora direttore delle Antichità di Sicilia, Saverio Cavallari. Un secolo dopo, negli anni Sessanta del XX secolo, l’archeologo Vincenzo Tusa iniziò una nuova spedizione di scavi seppur sapesse dell’attività dei clandestini (tombaroli) che, sin dal dopoguerra avevano operato indisturbati per reperire e vendere al mercato nero dell’antiquariato i pezzi pregiati della storia selinuntina.
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Un’azione mirata che fruttava ingenti guadagni a chi lo praticava e pochi spiccioli a chi scavava per trovare qualcosa. Si era espanso il collezionismo dovuto non solo al desiderio di raccogliere materiale pregiato ma anche ad un interesse, sempre più sentito, di tesaurizzare una moneta che gli avvenimenti bellici dimostrarono più fluttuante nel suo valore reale.

Si era sparsa la voce delle attività illecite nella zona archeologica di Selinunte a tal punto che, reperti trovati in altri luoghi erano considerati pregiati come se fossero stati estratti dal territorio selinuntino e venduti a caro prezzo.

Tra le tombe localizzate da questi tombaroli, anche una a lastrone contenente un bombylios corinzio e una tazzina pure corinzia decorata con cani correnti e, insieme, delle piccole lamine di piombo arrotolate che pesavano complessivamente circa un chilogrammo.

Lo stesso Tusa affermava spesso che la necropoli di Manicalunga-Timpone Nero potesse essere appartenuta ad un altro centro abitato ancora sconosciuto agli esperti.

Da uno scavo fatto il 26 luglio 1963 fu rinvenuta una tomba (n 151) con parecchio materiale al suo interno. Aveva una forma interessante e non comune alle altre scavate a Selinunte. Era costituita da un sarcofago di terracotta, avente pareti molto spesse con un coperchio a doppio spiovente. Anch’esso di terracotta, formato da due pezzi: la cassa invece era formata da un unico pezzo.

Nella zona in cui fu rinvenuta, il terreno era costituito da una roccia tufacea molto friabile dopo un metro di humus. Era contenuta in un vano di dimensioni più ampie della tomba stessa, coperta da alcuni lastroni di pietra che lambivano quasi il coperchio del sarcofago e che fortunatamente, lungo il corso dei secoli, non erano scivolati tutti.

Conteneva uno scheletro e gli oggetti erano dentro il sarcofago.

Facevano parte delle statuette in terracotta (busti di donna figurate e sedute), un alabastron di pasta vitrea, l’askos a forma di vacca e alcuni skyphos di diverso genere. Oggetti che descrivevano minuziosamente il culto dei morti e la probabile vita nell’oltretomba.

Nel 1979 venne organizzato un importante progetto della Soprintendenza con la collaborazione della Società S.I.R.O. di Milano.

Vennero studiati e approfonditi dei campioni prelevati da 109 tombe della necropoli di Manicalunga-Timpone Nero. Immettendo dei dati nel programma, l’archeologo doveva seguire una procedura innovativa e constatare le principali caratteristiche elaborate dal programma stesso.

Le informazioni divise su tre livelli (lista di condizioni scelta sulla base di specifiche caratteristiche, frase logica che collega le condizioni e la ricerca vera e propria nell'archivio base) evidenziarono dati molto interessanti.

Vennero emessi dei risultati sorprendenti e tra questi, la presenza di tombe a inumazione, cremazione, a fossa e cappuccina. Poi, in base alla tipologia, quelle per adulti e bambini.

Alcune erano prive di corredo e altre, con più o meno di 10 oggetti presenti. Tra il 2012 e 2013 è stata avviata una nuova campagna di scavi grazie alla fondazione Kepha, con la scoperta di fosse comuni e nuove tombe a sarcofago, cappuccina, terragna e deposizione.

Da quel momento fino ai giorni nostri, il totale abbandono degli enti preposti alla salvaguardia, controllo e manutenzione del sito. Alcune associazioni (Legambiente tra tutte) si sono mosse aspramente con dei comunicati in merito senza ricevere un riscontro positivo.

Un pezzo di Selinunte si trova in uno stato di degrado assoluto e molte tombe, oggi, sono state ricoperte dai detriti. Il lavoro di Tusa e coloro che hanno partecipato agli scavi è andato quasi perduto.

Anni d’iniziative, spedizioni e studi letteralmente buttati col rischio di perdere definitivamente alcune tracce della colonia megarese.
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