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Il carro del Festino è pronto: tutta la simbologia spiegata da chi lo ha pensato

Il carro del Festino della Santa protrettrice di Palermo si è spostato dall'Ucciardone al piano del palazzo Reale e attende la statua della Santa per essere completato

Balarm
La redazione
  • 9 luglio 2019

Il carro trionfale del 395° Festino di Santa Rosalia è quasi pronto, gli ultimi dettagli e le rifiniture si stanno facendo sul piano di palazzo Reale, dove si è spostato dal carcere Ucciardone in attesa della Santuzza che verrà posizionata in cima direttamente il 14 luglio, attualmente anche lei in via di rifinitura ai cantieri culturali della Zisa.

Fabrizio Lupo, ideatore del carro racconta qual è il progetto che c'è dietro: «Riflettendo sul tema dell'inquietudine è emersa fortemente l'esigenza della conciliazione degli opposti, l'eterno duello tra il bene e il male, e siccome la forma non fugge dal contenuto, la mistica verticalità dell'argomento mi ha suggerito l'applicazione di due solidi tronco-conici contrapposti, l'inferiore con il suo ideale vertice sottoterra e il superiore che converge idealmente proprio al cuore della statua della Santuzza».

«Questa forma, che da qualche anno stavo studiando, coincide con la forma propria dello sgabello borbonico, dotazione di tutte le celle del Carcere di Ucciardone. Si sono congiunti così due prodigi, il primo riguarda il fatto che l'incarico mi è stato dato a Natale e non un mese prima della Festa e il secondo che le idee di Lollo Franco coincidevano con la mia visione di un nuovo carro che ci riconduce a idee molto antiche».
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«Ho tirato fuori dal cassetto tanti disegni e modelli di statue che avevo abbozzato negli anni passati e li ho armonizzati con la forma stessa dello sgabello dei detenuti che con i suoi fori circolari diventa ancora una volta il simbolo di conciliazione interno-esterno, tra prigioniero e liberato, facendomi riflettere sul fatto che il corpo può essere recluso ma la mente è libera di scegliere la propria strada».

«Di conseguenza lavorare con un gruppo di detenuti, dentro le mura del carcere Ucciardone, è diventato una vera gioia, ben al di là delle sofferenze delle loro singole storie. Piano piano da un clima grigio e plumbeo di negazioni siamo entrati in un ritmo di amore per il gran lavoro da svolgere, che accomunava i nostri amici reclusi, gli esperti artigiani e scenografi che ho coinvolto e il gruppo di giovani allieve dell'Accademia di Belle Arti di Palermo, dove insegno».

«La morfologia più accreditata del Carro Trionfale è stata negli ultimi decenni una raffigurazione salvifica della stessa ideale nave che ne fu causa, essendo la peste arrivata per via d'acqua doveva essere ricacciata via mare. Ma la storia dei carri trionfali non è stata sempre influenzata da questa idea; se dobbiamo essere storicamente pertinenti alle precognizioni del Bonello, la Santuzza disse: “Prendete le mie ossa e mettetele su di un carro, fatelo sfilare per la città e la peste sarà debellata”».

«Di conseguenza ho immaginato di mantenere la forma del “carro”, tenendo conto delle decorazioni proprie del sentimento popolare. Il nostro Carro Trionfale mostra la storia del ritrovamento delle ossa raffigurato in quattro quadri ad altezza d'uomo, proprio come nel “carretto siciliano”, le quattro ruote sono invece tipiche dello “strascino”, il vecchio carro dei trasporti più ingombranti».

Questi quadri raffigurano ai lati il sogno di Vincenzo Bonelli a Monte Pellegrino e in opposto la Santa distesa nella grotta su un tappeto di rose, nel retro la Scala Santa che porta alla grotta del Pellegrino è in concreto l'accesso al Carro Trionfale.

Una riflessione a parte merita il quadro anteriore raffigurante San Benedetto il Moro (1526 -1589) che indica la grotta con il suo tesoro mistico (accadde nel 1585), ma le sue ricerche furono interrotte dalla Santuzza stessa che gli apparse in sogno e gli disse che non era ancora venuto il momento, evidentemente la Santa aveva fin da allora ideato la regia degli avvenimenti della cacciata della peste nel Seicento.

L'ideale barocco cacciato dalla porta è rientrato dalla finestra concretizzandosi in una macchina teatrale ispirata al numero quattro ed alla conciliazione tra cerchio e quadrato.

In questa piramide a candelone, il vertice è la Statua Santa posta entro un tempietto fiorito, ritratta nella posa in fuga dalla vita mondana, ancora vestita con le vesti di corte ma strappate dall'anelito del romitaggio, inquieta ma decisa, un piede avanti all'altro in un passo che la condurrà dapprima all'Eremo della Quisquina ed in seguito al Monte Pellegrino.
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