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Il loro nome (in arabo) significa "ponte": il sound psichedelico della rock band catanese

La loro musica, nei testi e nelle atmosfere scisse tra psichedelico, onirico e space rock dà vita a piccoli cortometraggi in note. Vi raccontiamo la loro storia

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 9 novembre 2025

La band degli Alcantara

Un pentagramma sospeso connette un mondo iper veloce, a uno dove il tempo si annulla e le note musicali vibrano lentamente: Alcantara. È questa la dimensione altra, o meglio la band, che attende dall’altra parte della traversata. Il gruppo siciliano composto da 6 elementi che hanno fatto del rock progressive il lasciapassare alla loro libertà di musica e parola: Sergio Manfredi (voce e testi), Rosario Figura (batteria), Danilo Montagnino (basso), Francesco Venti (chitarra solista), Vittorio Di Stefano (chitarra factotum) e Salvo Massimo Di Mauro (chitarra acustica).

Tutti, tranne Sergio di Siracusa, sono artisti catanesi risorti dalle ceneri di una vecchia band che nel 2018 si sono ritrovati e scritto delle demo trasformate poi nel primo disco intitolato “Solitaire”. Il nome evocativo della band, invece, “Alcantara” nasce per caso e per evadere da “inglesismi”: «In fase avanzata alle registrazioni - dice Sergio Manfredi - stavo leggendo un articolo e mi è capitato sotto gli occhi “Alcantara”, il nome di un luogo nostro e mi è risuonato in maniera immediata; poi il significato è anche bello, in arabo vuol dire “ponte”. E la musica ci sembra un grande ponte verso l’unione delle persone».

La loro musica potremmo riassumerla quasi alla Troisi maniera: “che è di chi ne usufruisce”. E nei testi e atmosfere scisse tra psichedelico, onirico e space rock dà vita a piccoli cortometraggi in note. Due, al momento, gli album all’attivo: oltre a Solitaire del 2019, Tamam Shud (in persiano “è finita”) uscito a giugno 2025. Ed entrambi vogliono scardinare le abitudini di società iperveloce e da calo dell’attenzione. I brani contenuti al loro interno stregano i sensi con chitarre che urlano e voce che sussurra, guardando inconsciamente ai Pink Floyd e ai Radiohead.

È un attimo e ci si ritrova in un viaggio verso un iperuranio in cui cessano di esistere i dogmi musicali canonici e incedono aspetti reduci da un percorso intimo, indipendente e trasformativo: «L’ultimo disco - prosegue Sergio - ha avuto una gestazione lunga. Quando ho iniziato a lavorarci ero un tipo di persona e quando ho finito avevo attraversato un deserto».

Una band, dunque, che evolve continuamente e non dimentica di stare al passo con le cause sociali di questo mondo. L’ultima quella palestinese: «Sostengo che ogni atto è politico, anche non fare niente è politico. La mia filosofia è che si sta sempre con i più deboli e mi sento uno di loro». Prossimamente li vedremo a Catania e sull’Etna, uno dei contesti naturali in cui la band nutre ed esprime la sua essenza.

Mentre fra le canzoni che arriveranno con dei video sui social c’è “Sail”, quinto brano del nuovo disco, che “appartiene naturalmente a “Federico, un ragazzo che si è ricongiunto con l'Universo” e scritto pensando di navigare metaforicamente da qualche parte. Chissà, magari valicando sempre quello stesso ponte musicale oltre il quale perdersi.
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