MISTERI E LEGGENDE

HomeNewsCulturaMisteri e leggende

Il misterioso benefattore che spediva "piccioli" ai catanesi: Ciulla, il falsario anarchico

La stessa “Banca d’Italia”, molto ironicamente, non si astenne dal congratularsi con lui per la straordinaria qualità della contraffazione. Una storia incredibile che ci porta fino a Buenos Aires

Livio Grasso
Archeologo
  • 31 marzo 2022

Dipinto di Ilia Efimovich Repin, copertina de “Il falsario di Caltagirone” di Maria Attanasio

Antiche testimonianze riportano che la città di Catania, tra il 1920 e il 1922, registrò un numero elevatissimo di donazioni benefiche ma stranamente anonime. Si trattava delle vecchie banconote da cinquecento lire, spedite via lettera e recapitate alle famiglie più indigenti del capoluogo etneo; sembrava un vero e proprio miracolo e, di certo, chi le riceveva non si tratteneva dalla gioia. In ogni caso, la questione è molto più intricata e complessa di quello che si potrebbe pensare. A quanto pare, il nome del misterioso benefattore esisteva eccome: si chiamava Paolo Ciulla.

Originario di Caltagirone, nacque nel 1867 in una famiglia benestante. Il padre, Peppino, gestiva varie botteghe di pellame al centro della città. Grazie ai lauti guadagni del suo vecchio, Paolo riuscì a condurre un alto tenore di vita. Malgrado, però, non gli mancasse nulla manifestava i classici sintomi di un animo inquieto.

Questo stato si acuì particolarmente non appena conobbe una persona di umile estrazione sociale con cui intessé dei buoni rapporti di amicizia; a partire da quel momento, emerse in lui uno spiccato senso della giustizia che lo portò ad avversare tutte le storture dilaganti nella società. Animato da un forte spirito sovversivo partecipò pure alle rivolte siciliane scoppiate nel 1893, ma non riuscì a farne parte come avrebbe voluto.
Adv
Perciò, deluso dalla vita politica, decise di ripiegare sull’arte; tuttavia anche nei panni dell’artista, seppur talentuoso, non riscosse il successo sperato. Di lì a poco, quasi a non crederci, ottenne in beneficio un assegno dal sindaco di Caltagirone potendo così coronare il sogno di iscriversi all'“Istituto delle Belle Arti di Roma”; ma anche questa esperienza fu assai deludente.

Giunto a Roma, infatti, non venne apprezzato ma, al contrario, fortemente denigrato per il suo accento siciliano. Decise, quindi, di recarsi a Napoli dove risiedette per un po' di tempo. Mentre soggiornava lì , come un fulmine a ciel sereno, venne a sapere che suo padre era morto; il triste lutto lo scombussolò al punto tale da abbandonare gli studi a un passo dal portarli a termine. In seguito, a causa delle sue tendenze omosessuali, fu persino costretto ad abbandonare il luogo natale e a rifugiarsi in Francia.

Ad ogni modo, Paolo sperimentò l’arte della contraffazione quando decise di trasferirsi a Buenos Aires. Fu proprio qui che, in segno di ribellione verso una repubblica percepita come corrotta, realizzò le prime banconote false. Inoltre, dopo il periodo trascorso in Argentina, siamo a conoscenza che fece rientro in Sicilia con la consapevolezza di avere un mestiere tra le mani. Si dice, a tal proposito, che nell’arco di due anni fu in grado di mettere in circolazione un totale di oltre 17.000 biglietti da cinquecento lire.

Per camuffarne la falsificazione era solito utilizzare le carte con cui si avvolgevano da sotto le coppette dei gelati; aveva sviluppato un’abilità davvero incredibile. La sua tecnica sopraffina venne, però, smascherata nel 1922 durante una perquisizione nell’edificio che si trovava nell’attuale viale Mario Rapisardi. Le indagini restituirono una gran quantità di vernici, carte e cliché. Non essendoci alcun modo di poterla fare franca, venne processato al “Tribunale Penale” di Catania. La “Banca d’Italia”, molto ironicamente, non si astenne dal congratularsi con lui per la straordinaria qualità della contraffazione. Questo “giochetto” gli costò cinque anni di carcere.

Il suo divenne un vero e proprio caso nazionale, catturando l’interesse di giornalisti provenienti da tutta Italia. Ricordato come il più grande dei falsari italiani, Ciulla si spense nel 1931 in un ospizio di Caltagirone gestito da suore.

In ultimo, vale la pena ricordare le parole rilasciate da Dario Fo durante un’intervista così descrivendolo: “Èl’espressione del tempo. Pittore, anarchico, non violento, socialista, omosessuale, ironico, generoso, politicamente impegnato con contadini e operai: ce le aveva tutte. Gliel’hanno fatta pagare, la società l’ha bruciato. L’hanno condannato a stare in una casa per barboni, ma Ciulla è felice e insegna loro a ballare. In lui c’è anomala grandezza”.
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.
...e condividi questo articolo sui tuoi social:

GLI ARTICOLI PIÙ LETTI