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Il mondo la canta ancora oggi: chi fu il papà siciliano di "Ciuri ciuri, ciuri di tuttu l'annu"

La storia di un celebre musicista e di un brano che ancora oggi è simbolo della Sicilia. Un testo che cerca la felicità nelle piccole cose, e restituisce l'amore ricevuto

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 2 giugno 2023

"Palermo fiorita", opera pittorica di Francesco Caltagirone (part.)

È la notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, quella in cui Garibaldi e Bixio si lanciano una mala occhiata, come a dirsi "che Dio ce la mandi buona", e da Quarto (Liguria) salpano per la Sicilia.

Non proprio un viaggio di piacere, considerando che nel genovese c’è un tasso di umidità del 63% (specie a mare di notte), che Peppino ha già 57 anni e soffre di reumatismi che gli impediscono di andare a cavallo, e Ninuzzo tiene 39 anni ma pare il nonno di Garibaldi perché è imbarcato dall’età di 13 anni.

Certo, se lì sarà fatti quattro conti durante quella traversata che lo avrebbe portato ad unificare l’Italia.

«Ma chi me l’ha fatto fare a me?», avrà pensato magari. «Potevo dire Obelisco!” e con quattro pietre e due sacchi di cemento ce ne saremmo usciti dalla malattia».

Eh, ma con i "se" non si fa la storia. Sbarco a Marsala, Salemi, battaglia di Calatafimi, conquista di Palermo, battaglia di Milazzo, resa di Messina, tutto questo in un arco di tempo che va da inizio maggio a fine luglio, periodo in cui le temperature consentono di cuocere letteralmente le uova sulle balate.
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Ergo, se vi eravate fatti un’idea romantica dei garibaldini toglietevela dalla testa perché per equazione matematica avevano le cosce squarate, i sudori scolavano a tignité e le tappazze sotto le ascelle, che con la camicia rossa erano un fiore all’occhiello.

A fare da spettatori a tutto questo ci sono Marino Frontini, talentuoso musicista trentaduenne che campa componendo melodie ballabili per teatro - nonché fondatore della banda municipale della sua Catania - e sua moglie Angela Senia, che forse lo ascolta suonare anche con pizzico di fastidio perché è al nono mese, si muore dal caldo e si suscia con un ventaglio di fortuna per farsi passare le caldane.

Trascorre qualche altro giorno, finalmente il 6 agosto il picciriddo decide di nascere. Francesco Paolo lo chiamano, forse perché è il nome dei nonni, forse perché per campare a questo mondo ci vuole un po' la pazienza di San Francesco, un po' la testa dura di San Paolo.

Marino non glielo può cambiare quel mondo a suo figlio, ma sa suonare e decide di sostituirgli il frastuono delle cannonate con la musica.

Cresce e si fa bello Francesco Paolo, inizia a studiare il violino e a soli 13 anni si esibisce alla sala comunale di Catania. Da noi si dice “cu avi lingua arriva a Roma”, lui che invece tiene orecchio formidabile il mare lo passa per andare a Napoli e ottenere il titolo di maestro compositore (allievo di Lauro Rossi), non prima però di passare anche dal conservatorio di Palermo, apprendendo anche da Pietro Platania.

Nomi che ai meno esperti come me suonano sconosciuti ma per chi è del mestiere sono monumentali. Ha solamente 15 anni e tira fuori da cilindro la sua prima composizione, Qui Tollis, un lavoro per tenore e orchestra scritto in occasione delle feste per S. Cecilia che viene eseguito nello stesso anno al duomo di Sant’Agata.

La creatività di Francesco Paolo erutta insieme all’Etna, e sfondata quella porta non si ferma più. È un continuo produrre lavori di cui non riportiamo i nomi per non annoiarvi ma che potrete trovare facilmente.

Finita l’età dei brufoli, perché adesso ha 21 anni, inizia per lui quella voglia di confrontarsi con altro, quella fame da volersi mangiare il mondo intero. Infila un’altra volta le mani dentro il cilindro e tira la sua prima opera: “Nella”, un melodramma in tre atti che fa il suo esordio al teatro Comunale di Catania il 30 marzo 1881.

I giornali del tempo scrivono di lui: «La patria di Bellini, di Pacini, di Coppola e di Platania è commossa in questi giorni nell’abbracciare un altro figlio che tenta timoroso entrare nella schiera di quei grandi. Il pubblico rigidissimo di quel teatro, scosso dalle sublimi note di quei duetti, di quelle romanze, ha dovuto smentire il famoso detto "nessuno è poeta nella sua patria"».

La ripeterà 26 volte quell’opera, e ogni volta verrà tempestato di fiori, corone e oggetti d’oro. E forse stanco di quei viaggi e di quegli ambienti ricchi, ma di cartapesta, decide di rilassarsi un attimo, di riconciliarsi con la propria terra, di avvicinarsi alla musica popolare, malinconicamente allegra, o allegramente malinconica, perché lo scroscio di quelle cannonate risuona ancora dentro di lui ed è arrivato il momento di zittirlo una volta e per tutte.

Non per niente ha gli anni di Cristo, fa viaggio dentro sé e produce un’antologia con rielaborazioni di vecchi canti popolari che verrà pubblicata da Ricordi di Milano con il nome di Eco di Sicilia. È proprio dentro questa raccolta che Frontini - adesso è famoso e la gente non lo chiama più Francesco Paolo - inserisce un suo componimento che parla di trovare la felicità nelle piccole cose e di tornare sempre il bene ricevuto. Ma non un giorno o due, oppure nelle feste comandate, ma sempre.

Questi buoni propositi li dipinge come fiori che fioriscono tutto l’anno. È così fa la canzone infatti: Ciuri, ciuri, ciuri ri tuttu l’annu. L’amuri ca mi rasti ti lo tornu.

Da quel momento in poi la vita di Frontini continuerà costellata di successi e opere troppo complicate per i comuni mortali. Quella di “Ciuri Ciuri” invece prenderà tutt’altra via, si impregnerà nella terra, si mescolerà all’acqua del mare, s’incanalerà nel freddo maestrale e nel caldo scirocco, diventando la voce di un’isola.

Francesco Paolo alla fine riuscirà a liberarsi di quelle cannonate del passato, ma nel 1939 ne arriveranno di più grosse e potenti, mentre la Sicilia tutta intona la sua canzone.

Forse arriva per lui quel momento che arriva per tutti i siciliani per cui “mi seccò pure a campare”, o forse non ha più niente da suonare e da comporre, fatto sta che il 28 luglio di quello stesso anno Francesco Paolo chiude gli occhi e se va in caldo giorno d’estate, proprio come in un caldo giorno d’estate era nato.
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