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Il poeta "paesologo" dall'Irpinia alla Sicilia: racconta borghi nascosti (quasi) dimenticati

Gran parte della vita e delle opere di Arminio sono dedicate alla salvaguardia della cultura dei piccoli centri che, dal dopoguerra in poi, si sono via via spopolati

Jana Cardinale
Giornalista
  • 9 gennaio 2023

Franco Arminio a Castelvetrano

Il poeta che parla ai piccoli borghi dalle grandi anime. Quei borghi antichi del nostro Paese, dimenticati e isolati, che possono risvegliarsi e raccontare la storia più bella di ogni comunità, le sue origini e i suoi sogni.

Una sfida peculiare e accorata, quella di Franco Arminio, scrittore e "paesologo", che vive e lavora a Bisaccia, dove è nato - un paese di circa 4 mila abitanti in Irpinia – e che, spinto dall’amore per le parole "che consolano, rendono liberi e disobbedienti”, è arrivato in Sicilia, a Castelvetrano, per raggiungere poi Gibellina, altro luogo ferito da un violento e indimenticato terremoto che ne rese necessaria la ricostruzione a poca distanza dalle macerie del vecchio insediamento.

Gran parte della vita e delle opere di Arminio sono dedicate alla salvaguardia della cultura dei piccoli centri, dei paesi dell’entroterra che, dal dopoguerra in poi, si sono inesorabilmente spopolati, per molte e diverse ragioni, tra cui l’emigrazione all’estero in cerca di lavoro e le catastrofi naturali che colpiscono i territori fragili e che disgregano in un attimo comunità antiche di secoli.
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Con la poesia e la sua testimonianza di vita, Arminio promuove quei valori e quei benefici che ancora oggi solo le piccole comunità possono regalare, e che sono quasi introvabili nelle grandi città: la solidarietà e il vicinato tra le persone, la memoria della comunità, la vicinanza con la natura, il passato condiviso.

Protagonista di un incontro letterario del ‘PalmosaFest’ a Castelvetrano, ha raccontato la genesi del suo libro, dal titolo “Studi sull’amore”, e parlato di poesia e di sensualità, con espressioni armoniose che hanno evocato sentimenti di speranza e di spinta alla ricerca del bello, e della spiritualità.

«Io mi sento un poeta popolare – dice - ma non un populista della poesia. Il poetico abita in tutti, in chi scrive e in chi legge. Non si può stare senza poesia».

E ha raccontato di Aliano, il paese dove fu confinato Carlo Levi, in cui ha fondato un festival che attira ogni estate 20 mila persone tra i calanchi delle montagne lucane, “La Luna e i Calanchi”, appunto, di cui è direttore artistico.

Un grande interesse, il suo, per l’Italia interna, contadina e montuosa, per la riscoperta di tradizioni e gastronomia, per la rivalutazione dei borghi interni e un loro recupero culturale e sociale, al di là della dimensione turistica.

A Castelvetrano, nella bellissima chiesa di San Domenico, definita anche la “Cappella Sistina della Sicilia”, e a Gibellina, nella Sala Agorà Leonardo Sciascia, accolto da un pubblico appassionato, ha saputo far emergere il livello poetico ed emozionale delle persone e dei luoghi di questa Italia nascosta, coinvolgendo la gente del posto, cantando con loro, leggendo insieme poesia.

Nella sua narrazione, Arminio, assume lo sguardo di un viaggiatore che si aggira per l’Italia dimenticata, tra i brandelli di realtà che si offrono alla sua vista di volta in volta, e puntualmente la differenza fra la natìa Irpinia, il Molise interno o la Sicilia, é inesistente.

I suoi testi mirano a toccare i sentimenti e l’amore per la bellezza del lettore, più che provocarne l’indignazione, perché Arminio non é un autore rassegnato.

A Bisaccia - ha raccontato - ha fondato una "Casa della Paesologia", da dove intrattiene rapporti diretti con i suoi lettori, scambiando prodotti tipici con dediche poetiche e con messaggi personalizzati nel cuore della notte. «È da un po' che con i miei lettori ho inaugurato questa forma di baratto – spiega – così loro mi mandano un regalo, spesso una specialità delle loro terre, e io ricambio con un libro, o con un messaggio whatsapp personalizzato.

Ci ritrovo la gioia antica di quando arrivavano i pacchi dono dai parenti americani». Alla casa della paesologia si parla di libri, si leggono poesie, ci suono canti e suoni, ma la cosa più importante è l’idea di ritrovarsi con i propri corpi in un luogo reale, come serena obiezione alla casa digitale che è sempre più casa di tutti e di nessuno.

«La sensualità nascosta nelle pagine del mio libro – dice - è legata all’incontro dei corpi ma anche allo stare nel mondo; il mondo è un corpo che deve essere toccato, e quindi un albero, così come il mare - che deve essere visto, per immergersi in lui - come una strada, o la luce, è tutto insieme sensualità.

Dobbiamo frequentare meno la rete, secondo me. La rete è utilissima per darci appuntamento nella realtà, per dire “andiamoci a fare un bagno”. Ecco, questo è l’uso che io farei della rete, che non è un luogo sensuale.

È stato bello raccontare qui che l’amore è l’arma più grande che abbiamo contro la precarietà della vita, contro la morte; non c’è un altro nemico della morte che non sia l’amore, e quando amiamo siamo in qualche modo al sicuro, ma il problema è che amiamo assai poco. A me piacerebbe ingentilire il mondo più che biasimarlo – ha aggiunto Franco Arminio - perché lamentarsi è un esercizio facile.

Quello che dobbiamo fare è stringerci al mondo, dare la nostra passione al mondo e avere sempre uno sguardo verso il mondo. L’amore non è solo quello per un uomo o una donna, ma per tutto quello che c’è sotto il sole, ed è bello stringere la mano non solo alle persone, ma anche alle nuvole, a un albero: una tensione umana che io estenderei a tutte le cose che ci circondano».

Un messaggio chiaro, insomma, una battaglia cortese contro la desertificazione fisica ma anche emotiva, verso cui tende una società sempre più tecnologizzata e insicura. Servono politiche contro lo smarrimento, servono azioni immediate su una strada con le buche, su un ospedale che non funziona, su una scuola che chiude.

Per rivitalizzare l’economia dei luoghi servono persone che sanno dove stanno e che hanno voglia di stare dove stanno. «Alla fine è una questione d’amore».

Come il suo festival di Aliano, che è stato una sorta di adozione collettiva di un paese e di un paesaggio nello spirito della paesologia. Dove fotografi, scrittori, pittori, registi e musicisti si recano per lasciare traccia del loro passaggio nel paese.

È il tentativo, ben riuscito, di coniugare arte e ambiente con l’idea che le persone del paese, gli artisti invitati e i visitatori del festival, costituiscano una comunità provvisoria capace di infondere fiducia nella vita dei piccoli paesi.

A Gibellina ha promesso che tornerà. A incantarlo, oltre al Cretto di Burri, è stato anche il Museo d'arte contemporanea “Ludovico Corrao”. E quella magia che scorre nelle vene dei paesi uniti da un destino che lotta contro la dimenticanza.
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