Il quorum al referendum è missione (quasi) impossibile: prof di Unipa svela perché
Silvio Bologna spiega quali sono gli ostacoli per l'8 e 9 giugno. Nel 1974 il quesito sul divorzio portò alle urne l'87,7% degli italiani, ma 3 anni fa flop sulla giustizia

Per la Cgil e gli altri comitati promotori, invece, il successo del referendum è irrimediabilmente sancito dal raggiungimento del quorum, obiettivo che sembra farsi sempre più complesso.
Basti pensare che si attestava al 22% il quesito che ha chiamato gli italiani alle urne soltanto tre anni fa in materia di giustizia, ben lontano dall’87,7% ottenuto nel 1974 dal referendum sul divorzio.
È quindi quello del quorum lo spettro che si aggira in modo più ingombrante sulle votazioni dell’8 e del 9 giugno. A renderlo tale concorrono una serie di fattori come spiega Silvio Bologna, professore di Diritto del Lavoro all’Università degli Studi di Palermo.
«Non è una situazione semplice, tenuto conto del fatto che la consultazione referendaria è stata indetta dal governo a giugno, e non vi si sta dando grande visibilità nello spazio pubblico, sui mezzi di informazione di massa come la televisione», commenta il docente.
«A ciò si aggiunge il fatto che, dal punto di vista politico-culturale, l’Italia è cambiata molto negli ultimi trent’anni - racconta -: la popolazione ha sempre meno cultura politica e sempre meno coscienza delle questioni di interesse pubblico, soprattutto a causa della demografia del Paese, sempre più vecchio».
Sulla partecipazione non ha dubbi: «Penso sia auspicabile il raggiungimento del quorum, dal momento che si sta parlando di questioni di fondamentale civiltà giuridica e che hanno ad oggetto i diritti costituzionali e di cittadinanza, in relazione al lavoro e all’integrazione della comunità politica».
Secondo Silvio Bologna, il referendum dell'8 e 9 giugno centra alcune questioni fondamentali. «Si tratta di quesiti che promuovono la garanzia e l'effettività dei diritti di lavoratori e lavoratrici, in una Repubblica democratica che, ricordo, è fondata sul lavoro, sul principio di eguaglianza sostanziale».
Che succede nel resto d'Europa sui temi affrontati dal referendum? «Il panorama europeo non è uniforme, in quanto parliamo della giurisprudenza di 27 Stati diversi. In paesi come la Francia o la Germania l’accesso alla cittadinanza prevede dei requisiti meno stringenti rispetto a quelli di paesi come il nostro».
Dal punto di vista dei diritti dei lavoratori c’è ancor meno uniformità, come spiega il docente: «In questo caso, però, nella stragrande maggioranza dei casi nei Paesi dell'Unione Europea, tranne che per i licenziamenti più gravi cioè quelli discriminatori, prevale la tutela di tipo risarcitorio».
E conclude: «In ogni caso, ritengo che si debba meditare attentamente sulle tematiche poste alla nostra attenzione in questa occasione; il dato tecnico-giuridico, infatti, non è fine a sé stesso, ma è un presupposto per fare una riflessione di più ampio spettro sulla qualità della nostra democrazia».
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