STORIA E TRADIZIONI

HomeNewsCulturaStoria e tradizioni

Il sacrificio di Clementuzzu, tra realtà e mito: un fatto di sangue (e truvature) in Sicilia

Un avvenimento, tra leggenda e realtà, di cui si trovano tracce anche negli atti di un vecchio processo. Che sia un fatto vero o meno ve ne raccontiamo ogni sfumatura

  • 3 novembre 2023

Giara-oro

Chiunque abbia un minimo di conoscenza della cultura siciliana e del suo folclore avrà sicuramente sentito parlare delle truvature. Le storie riguardo le cosiddette truvature o, più letterario, trovature sono perlopiù racconti popolari di tradizione quasi esclusivamente orale.

Questi narrano storie di tesori nascosti e vincolati ad un luogo protetto da uno o più spiriti guardiani, che possono essere "disincantati" e portati via solo attraverso un rituale insolito ma, spesso e volentieri, macabro.

Racconti e tradizioni di questo genere sono diffusissimi in tutta la Sicilia tanto che, tra il secondo Ottocento ed il primo Novecento, hanno attirato l’attenzione di studiosi ed eruditi siciliani, principalmente demologi ed etnologi, che presero a denominarli come leggende plutoniche, richiamando la figura del dio greco Plutone, divinità del mondo sotterraneo.

Questi, inoltre, riconobbero nelle storie delle truvature una correlazione con tradizioni di antica attestazione, come ad esempio la tradizione dei "Sacrifici edilizi", citata da Cocchiara, ovvero l’antichissima usanza citata anche nella Bibbia di offrire un sacrificio umano per propiziare la costruzione di un nuovo edificio o manufatto.
Adv
Sebbene la stragrande maggioranza di questi racconti sia da ascrivere al mondo del fantastico, uno di questi in particolare si mischia e si aggroviglia con fatti realmente accaduti, rendendo difficile distinguerne i confini tra immaginazione e realtà: si tratta del sacrificio di Crimintuzzu.

La storia di Clementuzzo arriva ai giorni nostri principalmente per tradizione orale e, per questo, in varie versioni che differiscono leggermente tra loro, ma con tratti comuni ben evidenti. Alcuni di questi racconti sono stati fortunatamente registrati, come nel caso de "Memorie orali degli Iblei" a cura di Marcella Burderi, o trascritte in varie pubblicazioni come in “Truvaturi e cririenzi” di Giuseppe Casa.

Si racconta, infatti, che in una chiesa rurale nelle campagne modicane, detta Chiesa di Scrofani, vi fosse nascosta una giara piena di monete d’oro e che l’unico modo per disincantarla sarebbe attraverso un atroce delitto. Le indicazioni, che nei racconti spesso appaiono in sogno ai protagonisti, prevedevano che chi avrebbe mangiato il fegato di un infante, sarebbe riuscito a svincolare il tesoro dall’incantesimo.

Secondo i vari racconti, a compiere il deprecabile gesto, sarebbe stata una donna assieme a vari complici. Questa avrebbe rapito il proprio figlioccio di nome Clementuzzo e, portato alla chiesa dove era nascosto il tesoro, lo avrebbe brutalmente ucciso per compiere il macabro rituale.

Sul finale della storia le varie versioni sono concordi nella cattiva riuscita del rito magico, anche se differiscono nel modo. In alcune versioni la donna e i suoi complici non riuscirono a completare il rito a causa del rigetto che ebbero nel tentativo di ingerire il fegato crudo.

In altre versioni, invece, subentra l’elemento del fato, in forma di un animale, che approfittando di una distrazione riuscì a sottrarre una parte del fegato.

In tutti i casi, comunque, le prescrizioni per disincantare la truvatura sono state disattese ed il tesoro, che nel frattempo era apparso, non poté essere portato via, mentre uno spirito, spesso apparso con le sembianze di un serpente ad indicarne l’origine demoniaca, comunica ai protagonisti il fallimento del rito.

Fin qui la storia di Clementuzzo ha tutte le caratteristiche tipiche del racconto popolare riguardo le truvature. È però grazie alla corrispondenza tra Serafino Amabile Guastella, etnologo di Chiaramonte Gulfi, e Giuseppe Pitrè che veniamo a conoscenza di un processo giudiziario a Modica, sul finire dell’Ottocento, che vide protagonista una donna che si macchiò di un delitto molto simile al racconto popolare.

L’aneddoto in questione viene citato, infatti, da Pitrè nel suo “Usi e costumi. Credenze e pregiudizi del popolo Siciliano”. A riprova di ciò vi è l’esistenza degli atti del processo depositati presso l’Archivio di Stato di Ragusa, ritrovati grazie ad un’interessante ricerca svolta da Alessandro D’Amato e Marcella Burderi.

I dettagli presenti negli atti, arricchiti da un’indagine svolta da un Ufficiale di Pubblica Sicurezza, hanno tratti in comune con il racconto popolare, anche se divergono in alcune cose come il coinvolgimento di due bambini in luogo di uno, Clementuzzo e Giuseppa.

Il racconto storico della vicenda di Clemente rimane lacunoso, ma fa riflettere e, al tempo stesso, rabbrividire su come quello che sembra possa essere solo un racconto di fantasia sia in realtà legato ad una macabra storia vera.

Sarebbe, infatti, interessante capire se il racconto popolare tramandato fino ad oggi sia nato su ispirazione di questa terribile vicenda, oppure siano state la superstizione e le credenze popolari ad aver influenzato a tal punto quelle persone fino a spingerle a compiere un gesto tanto disumano".
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.

GLI ARTICOLI PIÙ LETTI