Il suo nome è fuorviante, con Palermo non c'entra: che sappiamo della "Rosalia Alpina"
Alcuni monti dell'Isola con le loro ampie faggete montane costituiscono un habitat ideale per questa specie, nonostante la loro collocazione geografica insulare
La Rosalia Alpina
La Rosalia alpina, comunemente conosciuta come Rosalia delle Alpi, è uno dei coleotteri più affascinanti e noti dell’entomofauna europea, tanto da essere stata descritta da Linneo nella seconda metà del Settecento. Nota anche come cerambice del faggio, essa presenta un nome scientifico fuorviante.
Questa specie è infatti presente anche molto lontano dalle Alpi e la si può trovare anche nella regione mediterranea, come dimostra il caso della Sicilia, che presenta alcune sue popolazioni, in particolar modo sui Nebrodi.
Il suo nome fa solo riferimento all’esemplare studiato da Linneo, che era stato prelevato in natura proprio sulle Alpi, caratterizzato da una livrea azzurra, con tipiche macchie nere sulle elitre, la struttura anatomica che protegge le sue ali.
Componente della famiglia dei Cerambicidi, la Rosalia alpina predilige boschi vetusti di latifoglie, dove può trovare abbondanza di legno morto o in decomposizione, fondamentali per il suo ciclo vitale.
Al loro interno, infatti, nascono e si nutrono le sue larve, il cui sviluppo può durare anche 2- 3 anni. Per via dell’abituale rimozione dei tronchi morti nei boschi, questa specie è entrata seriamente in pericolo a partire dalla fine dell’Ottocento, quando era già ben nota ai naturalisti.
Per preservarne il destino, già all’epoca alcuni scienziati cominciarono a chiedere ai boscaioli di non eliminare tutto il legno morto presente nelle foreste, mentre più di recente la specie è entrata nella lista delle specie vulnerabili della IUCN.
Oggi la sua presenza all’interno di un bosco è indicatrice di elevata qualità ambientale e di una gestione forestale sostenibile, in particolare sulle Alpi e in Europa centrale. Le sue più grandi popolazioni si trovano nelle Alpi orientali e nei Carpazi, come in alcune foreste dei Balcani.
La frammentazione degli habitat, l’intensificazione della silvicoltura e gli incendi risultano però ancora un grande problema per la sua sopravvivenza, soprattutto in quelle aree in cui la sensibilità ambientale è meno diffusa e ci sono meno parchi e riserve naturali.
Per questa ragione l’Unione Europea decise anni fa di inserirla tra le specie protette dalla Direttiva Habitat (92/43/CEE). Fino a tempi recenti, la presenza della Rosalia alpina in Sicilia era considerata incerta, finché alcuni ritrovamenti documentati nel Parco dei Nebrodi hanno permesso di inserire questa specie nella lista degli insetti siciliani.
I Nebrodi, infatti, con le loro ampie faggete montane, le più meridionali del pianeta, costituiscono un habitat ideale per questa specie, nonostante la loro collocazione geografica insulare.
La popolazione siciliana di questa specie è probabilmente relitta ed è presente dai tempi dell’ultima era glaciale, se non dà prima. Il ritrovamento della Rosalia sui Nebrodi, avvenuto qualche anno fa, sottolinea il valore ecologico delle faggete siciliane, spesso trascurate dai politici siciliani o dalle stesse amministrazioni dei parchi nel contesto della tutela della biodiversità italiana.
Lo studio di questa specie ha spinto inoltre gli scienziati a una maggiore attenzione verso la tutela del legno morto e della naturale evoluzione dei boschi montani dell’isola, spesso minacciati dall’incuria e dall’ignoranza.
Questa specie è infatti presente anche molto lontano dalle Alpi e la si può trovare anche nella regione mediterranea, come dimostra il caso della Sicilia, che presenta alcune sue popolazioni, in particolar modo sui Nebrodi.
Il suo nome fa solo riferimento all’esemplare studiato da Linneo, che era stato prelevato in natura proprio sulle Alpi, caratterizzato da una livrea azzurra, con tipiche macchie nere sulle elitre, la struttura anatomica che protegge le sue ali.
Componente della famiglia dei Cerambicidi, la Rosalia alpina predilige boschi vetusti di latifoglie, dove può trovare abbondanza di legno morto o in decomposizione, fondamentali per il suo ciclo vitale.
Al loro interno, infatti, nascono e si nutrono le sue larve, il cui sviluppo può durare anche 2- 3 anni. Per via dell’abituale rimozione dei tronchi morti nei boschi, questa specie è entrata seriamente in pericolo a partire dalla fine dell’Ottocento, quando era già ben nota ai naturalisti.
Per preservarne il destino, già all’epoca alcuni scienziati cominciarono a chiedere ai boscaioli di non eliminare tutto il legno morto presente nelle foreste, mentre più di recente la specie è entrata nella lista delle specie vulnerabili della IUCN.
Oggi la sua presenza all’interno di un bosco è indicatrice di elevata qualità ambientale e di una gestione forestale sostenibile, in particolare sulle Alpi e in Europa centrale. Le sue più grandi popolazioni si trovano nelle Alpi orientali e nei Carpazi, come in alcune foreste dei Balcani.
La frammentazione degli habitat, l’intensificazione della silvicoltura e gli incendi risultano però ancora un grande problema per la sua sopravvivenza, soprattutto in quelle aree in cui la sensibilità ambientale è meno diffusa e ci sono meno parchi e riserve naturali.
Per questa ragione l’Unione Europea decise anni fa di inserirla tra le specie protette dalla Direttiva Habitat (92/43/CEE). Fino a tempi recenti, la presenza della Rosalia alpina in Sicilia era considerata incerta, finché alcuni ritrovamenti documentati nel Parco dei Nebrodi hanno permesso di inserire questa specie nella lista degli insetti siciliani.
I Nebrodi, infatti, con le loro ampie faggete montane, le più meridionali del pianeta, costituiscono un habitat ideale per questa specie, nonostante la loro collocazione geografica insulare.
La popolazione siciliana di questa specie è probabilmente relitta ed è presente dai tempi dell’ultima era glaciale, se non dà prima. Il ritrovamento della Rosalia sui Nebrodi, avvenuto qualche anno fa, sottolinea il valore ecologico delle faggete siciliane, spesso trascurate dai politici siciliani o dalle stesse amministrazioni dei parchi nel contesto della tutela della biodiversità italiana.
Lo studio di questa specie ha spinto inoltre gli scienziati a una maggiore attenzione verso la tutela del legno morto e della naturale evoluzione dei boschi montani dell’isola, spesso minacciati dall’incuria e dall’ignoranza.
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