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In Sicilia basta un suono (e un gesto) per dire di no: come nasce il nostro caro "Ntzù"

Un cenno del capo, un gesto o un suono appena pronunciato può bastare per dire tantissimo come in questo caso. Vi sveliamo origini e curiosità del "ntzù" siciliano

  • 24 settembre 2021

Immagine di Luca Vullo

I siciliani sono grandi comunicatori e usano spesso un tono alto di voce per parlare, ma in alcuni casi preferiscono rispondere limitandosi a piccoli movimenti del capo accompagnati da sillabe appena pronunciate.

Se la domanda sarà superflua e non merita alcuno sforzo, la risposta non potrà che essere 'Nzù'.

Tra le caratteristiche dei siciliani vi è, senz’altro, la tendenza ad alzare la voce quando si parla. Se vi è capitato di osservare un tavolo con nostri connazionali di regioni diverse, il siciliano sicuramente si distinguerà per la sua spiccata capacità di comunicare, fatta di gesti, smorfie e parole pronunciate spesso ‘a vuci di testa’, ovvero ad alta voce.

Nel raggio d’azione di metri si farà fatica a non sentirlo. Per queste innate qualità si dice pure che difficilmente un siciliano all’estero non si farà comprendere.

Eppure ci sono circostanze in cui il siciliano preferisce declinare la sua rumorosità e la sua innata facilità nel parlare in accenni di risposta che si limitano a piccoli movimenti del capo o a sillabe appena pronunciate che, al contrario, si fa fatica a sentire.
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Questa maniera di rispondere indica spesso una domanda superflua da parte dell’interlocutore che non merita nessuno sforzo. Si passa così da un eccesso all’altro, da un suono alto a un suono basso come quando sulla tastiera del pianoforte si alternano, in una stessa composizione, melodie dai colori mutevoli.

Il paragone suona bene! Insomma un cenno del capo, un gesto o un suono appena pronunciato può bastare per dire tantissimo.

Il siciliano possiede, dunque, la capacità di comunicare con il minimo sforzo. Un esempio su tutti è l’espressione ‘Nzù’, suono palatale che difficilmente si può commutare in espressione scritta senza perdere la sua espressività più intrinseca, che si articola per indicare un no secco.

Il suono viene sempre accompagnato dal movimento della testa all’indietro per dire appunto: No.

In Italia settentrionale e in Europa, al contrario, per dire ‘no’ si scuote la testa da destra verso sinistra e viceversa. Il ‘no’ meridionale può essere confuso, in certi casi, per un sì. Ma il tipico suono smorza ogni dubbio!

In realtà 'nzù' sembra avere origini antiche ed è utilizzato in più paesi del Mediterraneo. In Italia è diffuso in quasi tutta l’antica Magna Grecia, ma anche nella zona dei Balcani e della Turchia si usano suoni molti simili per esprimere lo stesso diniego accompagnato dal movimento del capo all’indietro.

Del resto il Mediterraneo è stato ed è una grande culla di popoli, lingue e culture che, navigando per lo stesso mare, hanno avuto modo di spargersi, propagarsi e influenzarsi a vicenda. La cultura greca è stata determinante in questo processo.

In Grecia, infatti, muovere il capo verso l’alto ha lo stesso significato di ‘no secco’. Spesso viene accompagnato da un movimento delle sopracciglia e degli occhi e il suono che viene pronunciato è τσου (traslitterato: ‘tsou’).

Non deve stupirci tutto questo. I greci cominciarono a colonizzare il sud Italia già nell’VIII secolo a.C., la prima colonia fu Pithecusa (Ischia), per poi proseguire con Cuma, Taranto, e in Sicilia Naxos, Catania e Siracusa.

In molte zone dell’Italia meridionale, Calabria, Sicilia orientale, Puglia meridionale, si è conservato maggiormente l’influsso greco, grazie anche alla vicinanza con la madrepatria.

Ancora oggi, infatti, alcune aree in provincia di Messina, nella Bovesia in Calabria e nel Salento in Puglia si trovano zone ellenofone, vere e proprie isole linguistico-letterarie.

Le lingue e i gesti che usiamo per esprimerci raccontano di storie che hanno origini nel tempo e non sempre vicinissime a noi. Nonostante i millenni il ‘no greco’ è ancora vivo e viene utilizzato quotidianamente da molti, siciliani e non.
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