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In Sicilia c'è una città dove a Carnevale si danza cosparsi di pece: cos'è la "Tubbajana"

Alcune persone in Sicilia potrebbero dire d’averne già sentito parlare o averne letto ma occhio a non sbagliare: i due riti sono totalmente diversi

Daniele Ferrara
Esperto di storia antica
  • 4 febbraio 2024

Il rito della Tubbajana a Messina

La “Tubbajana” è una caratteristica usanza messinese del Carnevale, dal significato antico quanto il mondo. Alcune persone in Sicilia potrebbero dire d’averne già sentito parlare o letto ma non da Messina, ed effettivamente avrebbero ragione, giacché anche a Palermo e in altre parti della Sicilia si suonava e impersonava la “Tubbiana”, ma a parte il nome si tratta di due rituali completamente diversi.

Quella che come Tubiana o Tubbiana si riconosce in varie parti della Sicilia, con i nomi di Tubbajana o Tubayana, Jana Tuba e Barubba si rinviene specificamente a Messina, la quale conserva spesse volte caratteristiche peculiari dovute alla sua plurisecolare (se non anche plurimillenaria) storia d’indipendenza a tempi alterni.

Diversi studiosi di tradizioni siciliane affermano che la Tubbiana non è una pantomima di per sé, ma la musica che veniva ballata, un vero e proprio genere, affine alla Tubbacatubba napoletana. In Sicilia questo particolare genere musicale si sposava a certe pantomime del Carnevale, che potevano essere una parata d’eterogenee maschere (nelle città, come Palermo) oppure un’esotica corte carnascialesca (nelle campagne), come Salomone Marino e Giuseppe Pitrè ben descrivono.
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La Tubbajana che si poteva ammirare a Messina era completamente diversa. Ne troviamo accenni nelle cicalate di Carnevale degli intellettuali messinesi Pippo Romeo e Placido Arena-Primo e buone descrizioni nei resoconti di viaggio di Theodor Friedrich Max Richter e William Henry Smyth. Coloro che prendevano parte al rituale della Tubbajana si chiamavano “Tubbiani”.

Questi personaggi assumevano un aspetto davvero peculiare: giravano a corpo nudo, indossando soltanto corti pantaloni rigonfî alla turca o gonnelli come perizomi, o altri accessorî che stupivano il pubblico facendo pensare a popoli sconosciuti e fantastici, e avevano tutto il corpo cosparso di fuliggine e olio, o pece, soprattutto mani e volto, annerendosi e apparendo come ombre.

Come facessero questi personaggi a rimanere a nudo a Febbraio, è un vero enigma, che si potrebbe sciogliere soltanto pensando all’alcol tracannato o a proprietà isolanti delle sostanze cosparse sul corpo!, fatto sta che i testimoni oculari (nel primo Ottocento) vedevano inequivocabilmente danzatori nudi. La danza di questo improvvisato ma specializzato corpo di ballo, composto dalle 12 alle 20 unità, era sfrenata, forsennata, consistente in movimenti complessi che variavano tra contorsioni e salti, accompagnàti da smorfie grottesche, il tutto al suono insistente e ripetitivo d’un tamburo basso e cupo e di tromboni o brogne ovvero conchiglie.

Doveva essere certamente una musica assordante che si udiva per lunga distanza e che pareva provenire da oltre il tempo, o da un altro mondo. I Tubbiani erano impersonati dai facchini o caricatori, categoria umile ma importantissima a Messina tra gli affari del Porto e quelli dell’approvvigionamento granario”; c’erano anche “Tubbiane”, al cui ruolo si prestavano le prostitute.

Dall’uso del termine ch’è rimasto nel dialetto reggino, pare che il rituale avesse anche un carattere contestatorio dell’ordine costituito.

Non c’era da stupirsi, insomma, che la Tubbajana non fosse ben vista dalle classi più abbienti e ch’esse storcessero il naso al vederla. La messinscena era anche un’elaborata forma di questua, infatti spesso i Tubbiani portavano scarselle ove raccoglievano le monete dal pubblico, probabilmente destinandole a lauti convivî in taverna.

In realtà quanto appena descritto non era un’esclusiva messinese: quasi identica pantomima si teneva anche a Palermo, anche se apparentemente più come spettacolo di strada, di quartiere plebeo, forse nemmeno strettamente legato al Carnevale, con il nome di “Ballo degli Schiavi” in cui i “lazzari” s’imbrattavano il corpo di “pasta d’olio” e così danzavano, talvolta buttandosi ad abbracciare persone a caso tra il pubblico scatenandone la fuga per non sporcarsi.

La differenza tra Palermo e Messina consiste nel fatto che qui la Tubbajana, o Barubba, è il Ballo degli Schiavi, in una versione molto più appariscente e numerosa.

Il fatto che a Taormina – vicinissima a Messina – la Tubbiana fosse uguale a quella palermitana e che la corrispettiva Tubbajana fosse chiamata “Ballo dei Schiavi” come a Palermo (testimone il viaggiatore Alexander Rumpelt), ci fa capire quanto fosse peculiare e forse isolata la fusione messinese.

Il colore nero, l’unico fattore comune a tutte le descrizioni che abbiamo, sembra essere proprio il succo della Tubbajana: ma qual è il suo significato? Qui la faccenda si complica!

L’ipotesi che più immediata sorge è che il rituale abbia a che fare con usanze degli schiavi condotti in Sicilia nel Cinquecento, i quali si riunivano per fare solenni danze, di probabile carattere religioso, che Antonio Lombardo, Vescovo di Marsala, arrivò a proibire.

Molti studiosi infatti evidenziano i legami (anche nelle canzoni) tra la tubbacatubba napoletana (e quindi la tubbiana palermitana) e i veri balli degli schiavi.

Ma nel Carnevale tutto ciò ch’è proibito deve riemergere, e la Chiesa lo sapeva bene: concedere quello sfogo, semel in anno, era funzionale a mantenere le persone in morigerato ordine in tutti gli altri mesi.

Questi balli potrebbero essere stati ripresi parzialmente dalla popolazione autoctona, soprattutto se ben camuffavano usanze precristiane, dando origine alla Tuba Jana per come la conosciamo oggi. In molti tra testimoni e commentatori vedevano questi mascherati personaggi estranei alla propria cultura, assimilabili a volte ai “mori” o agli “indiani”, altre agli “orientali” o ai “saraceni”, seguendo gli stereotipi che le loro menti avevano collezionati in quell’epoca.

La danza della Tubbajana sembrava rievocare un carattere arcaico, che soprattutto nell’Ottocento la mentalità della gente portava a rinvenire erroneamente nello straniero, soprattutto se molto distante.

Bisogna ricordare che anticamente, anche da noi, l’anno era ritenuto iniziare a marzo con la primavera, pertanto il Carnevale è quanto rimane di antiche festività di fine anno: come in tutti i momenti di passaggio, le forze primordiali caotiche riemergevano e bisognava domarle, e le negatività dell’anno passato dovevano essere esorcizzate.

Proprio nella dicitura “Jana Tuba” il luogotenente Smyth vide il senso di “tromba di Giano” e la funzione di rituale di passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, funzione che la Tubbajana effettivamente assolveva, al di là di qualunque connotazione etnica possa avere assunta col tempo e del significato effettivo della parola.

Danze dette “moresche”, con figuranti che si tingono di nero (o altri colori scuri) e vestono colorati nastri colorati o pelli si trovano in diversi paesi – in Britannia (la “Morris Dance” tutt’ora molto praticata) celebrano Calendimaggio (1 Maggio) o qualche volta la Pasqua – e sempre nel lasso di tempo che va tra la fine dell’inverno (come da noi a Carnevale) e l’inizio dell’estate.

Se queste considerazioni sono esatte, i Tubbiani e le Tubbiane rappresentano proprio quegli spiriti, quelle entità, o quelle forze nere come la notte primordiale, che vengono riportate in questo mondo dall’assottigliarsi dell’ordine universale in un tale momento di passaggio, proprio come le Chere delle Antesterie, riproposti in una forma goliardica e satirica allo scopo di esorcizzarle e domarle.

Contemporaneamente, i Tubbiani sono neri come la terra nuda, quella che contiene il germe invisibile della vita, e il loro ruolo è benaugurante, ed ecco perché tentano d’abbracciare le persone, allo stesso modo in cui i Luperci nelle Lupercalia romane – con volti ricoperti di fango e indossando pelli! – toccavano ritualmente le donne con stringhe di pelle per propiziarne la fertilità e come ancor oggi l’Orso del Carnevale di Saponara fa, ballando con le donne che incontra.

La Tubbajana spazza il vecchio e spazia al nuovo scardinando per pochi giorni le regole dell’ordine costituito, perché “semel in anno licet insauire”.

Buon Carnevale, da Messina!
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