AMARCORD
In Sicilia c'erano i laghetti della verità: svelavano le magagne (e furono prosciugati)
Un viaggio in una Sicilia che non c'è più scoperta durante una gita scolastica tra preghiere, scoppoloni e leggende antiche quanto la nostra terra sicula
Dettaglio del quadro di jean Pierre Houel al Museo dell'Hermitage
Quando quell’anno il professore Terranova cominciò a leggere la circolare che annunciava la gita scolastica primaverile ci mettemmo ad esultare tipo gol di Tanino Vasari al '90, poi appena ci disse che saremmo andati a Palikè, vicino Mineo, restammo tutti un poco interdetti perché non sapevamo dove era Mineo figuriamoci Palikè.
Panino con la frittata scafazzata, appello di padre Attilio - che gli veniva meglio a contarci se quando faceva il nostro nome ci accompagnava dentro il pulmino con uno scoppolone-, e poi l'immancabile “angioletto benedetto che ti tengo dentro il petto, per l’amore di Gesù fai che studi sempre più” e si partiva.
Nei pressi di questa Mineo ci raccontò che tale località aveva dato i natali al famoso scrittore Capuana, pioniere del verismo. A noi sta cosa ci parse un poco ‘na minkiata col botto perché il mio compagno Capuana i temi li consegnava sempre in bianco, sparava fesserie dalla mattina alla sera (altro che Verismo!) e l’unica cosa che gli avevamo mai visto scrivere era 800A nei bagni della scuola.
Giunti in contrada Rocchicella - è lì che si sarebbe dovuto trovare il sito archeologico e pure il famoso lago dei Palici- pure padre Attilio, che era pur sempre uomo di fede, si lasciò andare all’amletico dubbio: “Ma unni schifìu è sta Palikè?”.
Il geografico dilemma lascio il posto al pianto generale, e al grido di “si hanno fottuto il lago” sempre padre Attilio si partì a colpo sicuro alla ricerca di Carollo perché quando si fottevano qualcosa ci colpava sempre lui.
Di fronte al kaos generale, seduto su un pietrone con il giornale sotto l’ascella, l’unico che se la rideva era il professore Terranova. “È normale” ci disse “che il lago non lo vedete, è stato prosciugato nel 1933…”.
Ebbene sì, in quella zona dove non c’era anima viva, dove avrebbe dovuto esserci un lago ma non ci stava manco una sputazzata di pozzanghera dove lanciare le pietre, anticamente c’era un andirivieni a tipo centro commerciale il giorno che viene dato il reddito di cittadinanza. Questo perché, proprio lì era situato l’antico tempio di Palici e attorno ad esso la città di Palikè. Ma facciamo un salto indietro.
I greci, non potendo fare conto sul Viagra, che la Food and Drug Administration approva e commercializza solo nel 1998, credevano che mangiare polpo portasse in alto gli stendardi. Zeus per sua fortuna non teneva di questi problemi. Proprio così, oltre a fare il capo condominio del Monte Olimpo e tirare fulmini, era affetto da quel berlusconico difetto che lo portava ad avere sempre la testa al cacio.
Questo per le donne della Grecia e provincia era un grosso, grossissimo, problema. Ne può dare testimonianza la bella e sfortunata Talia, ninfa della prosperità, una delle tre Grazie, sorella di Aglaia, ninfa dello splendore, e Eufrosine, della gioia e della letizia.
Un giorno che la poveretta si stava facendo un bagno nel fiume, Zeus la vide nuda e tricche, tracche e bombe a mano. I test di gravidanza a quanto pare sempre precisissimi sono stati, e quello di Talia non lasciò spazio a dubbi: di due gemelli si trattava. Ora, vaglielo a dire ad Era, moglie di Zeus, non solo delle corna ma che pure c’era scappata una doppia gravidanza.
Per tale motivo Zeus prese Talia e la nascose dentro il lago (o meglio i laghi, perché erano due e gemelli) di Palici. E siccome il lago di Palici in realtà era la mofeta più grande d’Europa, ovvero un fenomeno vulcanico secondario dalla quale sgorgavano emissioni di anidride carbonica e gas, la gente del tempo si credeva che tutto quel ribollire era prodotto dalle doglie di Talia che stava per partorire i gemellini Palici.
Da divinità pagane che erano vennero quasi subito riconosciute e venerate tanto da costruirgli un tempio li vicino. I due fratellini avevano la capacità, si racconta, di discernere il vero dal falso o per meglio dire sgamare le minchiate. Tale abilità o super potere si riversava in toto nel tempio.
Era infatti usanza, quando fra due persone nasceva discordia e i colpi di tua madre di qua e tua madre di là arrivavano a mare, recarsi verso i due laghetti. Il rito prevedeva che scrivessero le proprie ragioni su due tavolette diverse che poi venivano lanciate nei laghetti: la tavoletta che rimaneva a galla era quella veritiera e quindi quella che si portava a casa la ragione.
Proprio per questa sua funzione il tempio di Palikè diventò in men che non si dica meta di rifugio per tutti gli schiavi dell’epoca schiacciati dallo sfruttamento del lavoro.
Il professore era convinto del fatto che se ci fosse stato un tempio di Palikè dentro il Parlamento, avremmo avuto un paese di gran lunga migliore.
Già, perché dentro il tempio dei Palici si era costretti a dire la verità, e quando i padroni andavano a riprendere gli schiavi per riportarli a casa, questi gli facevano promettere condizioni di lavoro più umane che dovevano quindi essere rispettate per forza. Purtroppo nel 1933 i laghetti furono prosciugati e le sue emissioni estratte a scopo industriale per produrre bevande gassate e ghiaccio sintetico.
Il resto della giornata dopo quella spiegazione prese tutta un’altra piega tranne per padre Attilio: comprendendo che in quel posto rifugio per pranzare nisba, ristorante meno che mai, svecchiò un’altra datata usanza cercando di vendere indulgenze in cambio di qualche panino con la frittata. Questa però è un’altra storia….
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