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Io speriamo che resto a casa: il Coronavirus risveglia un ricordo che accumuna i siciliani

Da cantanti e volti noti un appello all'insegna dell'hastag #iorestoacasa e noi siciliani abbiamo nel Dna una cosa che ci lega a questo luogo che oggi ci appare "stretto"

  • 8 marzo 2020

Il porticciolo di Sant'Erasmo a Palermo (foto Pietro Piraino)

Io resto a casa. Il motto diventato il dictat per fermare il contagio da Coronavirus riporta noi siciliani a qualcosa che tutti, o quasi, abbiamo vissuto vivendo in questa terra.

Certe volte non lo ricordiamo, molti sono partiti anni fa per trovare fortuna, altri nei decenni sono rientrati creando vecchie generazioni di italiani sparsi per il mondo o rimasti in Italia, un Paese che amiamo. Ecco, a loro, ai nonni va il primo dei nostri pensieri su quel piacere che è lo restare a casa, anche se non piace in questi giorni di lotta al Covid-19.

Ci andavamo controvoglia, avremmo magari voluto fare altro, eppure erano loro che ci portavano a far fare il giro sul pony o a vedere il leone di Villa Giulia, a Palermo. Erano loro che ci insegnavano a fare le uova fritte o le marmellate, loro a piantare i chiodi e a segare usando oggetti pericolosi che avrebbero fatto rabbrividire ogni genitore.

Era da quelle case che non saremmo mai voluti andare via, a fine giornata, quando mamma o papà venivano a prenderci dopo la giornata di lavoro.
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Stare a casa, in Sicilia, significava esercitare una delle regole principali che muovono ancora oggi la movida, anche se ora corre sui social: il curtigghio. Si il pettegolezzo, ne abbiamo parlato anche in questo articolo. Il motore immobile della curiosità.

La zia che parlava alla tua mamma delle corna della dirimpettaia e tu che stavi ad ascoltare questo o altri discorsi da grande. E imparavi a vivere restando a casa.

Si imparava a vivere e anche a sopravvivere. Perché oggi come ieri era a casa, d’estate, che ci si attrezzava per fare la salsa, quella cosa che ci avrebbe sfamati anche d’inverno conservando in bottiglia i profumi e il sapore della stagione più bella.

Non c’è stato momento più atteso, da ragazzi, che il piacere di restare a casa con i compagni di scuola per una partita a risiko e una limonata sul divano.

Sembra uno scherzo, ma in Sicilia si dice ancora che “i panni sporchi si lavano a casa”. Quasi fosse una metafora dell’oggi, di quell’esigenza utile a tutti e che, così stranamente, ci sta stretta.

Sono solo quindici giorni o poco più, ma diamo l’impressione di avere dimenticato da dove veniamo. Prima era a casa che si nasceva ed è a casa che si vuole morire.

Lo stare a casa è tutti noi, è Sicilia e Italia intera, basta riscoprirlo. Per pochi giorni, perché l’estate sta arrivando e la nuova salsa aspetta di essere imbottigliata.
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