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La baronessa uccisa dallo zio (morto): lo strano delitto nel famoso castello in Sicilia

Vi raccontiamo un agghiacciante episodio di amore e vendetta, a metà fra storia e leggenda, avvenuto in un luogo suggestivo. Una storia che in pochi conoscono

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 21 agosto 2023

Il castelluccio di Gela (foto da Wikipedia)

Tra i racconti della tradizione orale, ecco un agghiacciante episodio narrato da Santi Correnti, profondo conoscitore della Sicilia: un’appassionante vicenda di amore e vendetta, a metà tra storia e leggenda.

Santi Correnti, (1924-2009) latinista e storico, ha dedicato la maggior parte della sua vita alla storia della Sicilia, scrivendo quasi un centinaio di opere - sia a livello universitario che divulgativo - su tutti gli aspetti della storia isolana dalla storiografia alla mitologia, dalle leggende alle tradizioni popolari.

Correnti fu inoltre il primo a istituire la cattedra di Storia della Sicilia nell’insegnamento universitario italiano.

Nel suo volume "Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Sicilia", lo studioso narra un agghiacciante episodio, un racconto a metà tra storia e leggenda, ambientato nei pressi del castelluccio Federiciano, nel territorio di Gela.

A Gela, città fondata dai coloni dorici nel VII secolo a.C., più volte distrutta e ricostruita, sono ambientate alcune delle più fantasiose leggende della tradizione orale siciliana come la leggenda del Castelluccio di Gela (che parla del fantasma di una bella castellana - dal manto celeste - ammaliatrice di tanti cavalieri di passaggio) o la leggenda del mostro Biddina (un’enorme bestia leggendaria coperta di squame che viveva nel lago Biviere).
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Ancora, la leggenda del lago Biviere (originatosi per le copiose lacrime degli angeli, alla vista di due innamorati - un pastorello e una giovane baronessa - uccisi dal barone padre, ferito nell’onore) e la leggenda del gigante Manfrino (personaggio grande e buono, che viveva nella torre di Manfria).

Correnti narra anche la leggenda di una vendetta familiare che nel XV secolo si verificò a Gela (allora Terranova) quando una bella, giovane e ricca baronessa, Isabella Moncada, orfana dei genitori, venne chiesta in sposa dall’aitante barone Jacopo Intrana.

Iago Moncada, vecchio zio e tutore di Isabella, finse di acconsentire al matrimonio, ma in realtà in cuor suo era molto infastidito dalla proposta del giovanotto: aveva già progettato di portare all’altare la bella nipotina, per entrare in possesso dell’enorme patrimonio familiare e Jacopo aveva rovinato i suoi piani; ma non era ancora detta l’ultima parola…

Dopo il fidanzamento, ogni qualvolta Jacopo arrivava al castello in visita ad Isabella, il barone inventava sempre una scusa diversa e mettendogli il bastone tra le ruote, non gli permetteva mai di incontrare l’amata.

La fanciulla non era tuttavia una sprovveduta e un giorno, grazie all’aiuto di alcuni fedeli servitori, riuscì segretamente a far giungere un messaggio a Jacopo, mettendolo a conoscenza delle reali intenzioni del perfido zio.

Il giovanotto non perse tempo: invitò tutti i signori della zona di Gela, compreso lo zio di Isabella, ad una battuta di caccia, e fece in modo che il vecchio tutore restasse da solo e cadesse in un agguato (sapientemente orchestrato proprio da Jacopo).

Il vecchio venne immobilizzato e fu più volte accoltellato. Si finse morto… e quando i sicari si allontanarono, riuscì a fuggire e a tornare al suo castello. Medicò le ferite e desideroso di vendetta si armò fino ai denti: sapeva chi era stato a ordinare il suo assassinio.

Iago si recò al palazzo degli Intrana, scortato dai suoi uomini e assalì i proprietari e i servi, seminando morte e distruzione. Riuscì a far prigioniero il giovane Jacopo, che portò via con sé, per rinchiuderlo in una prigione del suo palazzo: sarebbe stato troppo facile ucciderlo subito, il Moncada voleva divertirsi a torturarlo lentamente

Intanto Isabella, reclusa nelle sue stanze, era ignara di tutto.

Una notte si svegliò all’improvviso: nel silenzio in cui era immerso il lugubre maniero si udiva uno strano lamento, il canto malinconico di qualcuno rinchiuso nelle prigioni… La fanciulla tese l’orecchio e riconobbe la voce del fidanzato: il prigioniero era Jacopo, che narrava le sue disavventure!

Senza porre tempo in mezzo, uscì dal suo appartamento, si armò di un affilatissimo pugnale, entrò di soppiatto nella stanza dove lo zio dormiva e senza alcun tentennamento lo uccise nel sonno. Corse poi a liberare il suo innamorato e si accinse a fuggire via con lui.

I due giovani non potevano certo immaginare la lungimiranza del vecchio e diabolico zio tutore, che aveva ordinato ai suoi uomini di uccidere chiunque avesse tentato di abbandonare il castello senza avere con sè un lasciapassare, firmato di suo pugno.

Quando i fidanzati cercarono di uscire dal castello vennero fermati dai soldati, fu chiesto loro di mostrare un salvacondotto e dal momento che non lo possedevano furono immediatamente trafitti a morte dalle lance delle guardie.

Si conclude così la storia d’amore di Jacopo e Isabella: un racconto con un finale tragico e crudele, ma anche inquietante, perché come affermava Santi Correnti alla fine «li aveva raggiunti la vendetta di un morto!».
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