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Centinaia di relitti dormono negli abissi, come la "bella dama" che giace nel mare di Sicilia

«Museo subacqueo» lo chiama Ivan Rullo, fotografo varesino che ha alle spalle 700 immersioni e 20 relitti visitati, che si è immerso già tre volte per vedere la Valfiorita

  • 10 maggio 2021

Pagine di storia giacciono nel mare di Sicilia. Inghiottite dall'acqua in un tempo remoto. Celate nella penombra e avvolte dal blu della profondità, in un tutt'uno con pesci e piante acquatiche. Raccontano di viaggi, guerre, uomini e merci. Di esistenze ormai passate, interrotte d'improvviso e fotografate nel loro ultimo istante.

Sono centinaia i relitti, silenti ma pieni di vita, che dormono negli abissi. Navi, piroscafi, sottomarini, aerei. Costituiscono un immenso patrimonio in grado di rivelare ciò che avvenne, ma senza parlare. Spesso sono testimonianze importanti della Seconda Guerra Mondiale.

Fra questi, c’è una motonave italiana che ha un nome quasi poetico: Valfiorita. Si trova ancora di fronte a Mortelle, in provincia di Messina, a circa 55-70 metri di profondità. Dalla notte dell'8 luglio del 1943 è immobile. Spezzata in due tronconi e ancora in assetto di navigazione, la sua storia e il suo carico sono sospesi da quel giorno e si mostrano soltanto ai coraggiosi che scendono fin lì per ammirarla in tutta la sua imponenza.
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Ma cosa accadde quella sera? Ricostruiamo la vicenda dall'inizio.

La motonave, pensata in origine per usi commerciali ma riconvertita a uso militare durante la guerra, fu costruita nel 1939 nei cantieri Franco Tosi di Taranto e fu varata il 5 luglio del 1942. Fin da subito non ebbe una vita felice. Già pochi mesi dopo, durante il suo primo viaggio, subì un attacco. In quell’occasione, però, riuscì a salvarsi e a non affondare.

Ci vollero mesi per rimetterla in sesto. Soltanto a fine giugno del 1943, mentre gli alleati si preparavano a sbarcare sull'isola, furono ultimate le riparazioni e le prove in mare. I servizi segreti italiani erano sicuri che l’invasione sarebbe partita dalla Sicilia, proprio per questo il 7 luglio la Valfiorita ripartì alla volta di Palermo, trasportando materiale bellico e mezzi di ogni genere: da quelli alimentari a quelli militari, oltre ovviamente ai soldati.

Mancavano, però, all'appello le bombole di anidride carbonica dell'impianto antincendio. Nonostante il Comandante le avesse richieste, ne arrivarono soltanto dieci. Davvero troppo poche per domare o contenere il fuoco in caso di attacco.

L'8 luglio, dopo una breve sosta tecnica a Messina, la nave continuò il suo viaggio verso Palermo scortata dalla torpediniera "Ardimentoso". Tutto sembrava procedere tranquillo. Fino a sera, quando il sommergibile inglese HMS Ultor la avvistò e lanciò dei siluri.

Si consumò una tragedia più che annunciata. Scoppiò infatti un violentissimo incendio e, non essendoci un’adeguata scorta di mezzi per spegnerlo, l’equipaggio e i militari iniziarono a mettersi in salvo, mentre il comandante distruggeva l’archivio segreto. Inutile il tentativo disperato di avvicinarsi alla costa: la nave affondò in pochissimo tempo. Ci furono morti e feriti, ma anche molti sopravvissuti che riuscirono a scappare con le scialuppe.

Oggi la Valfiorita, con le sue 6200 tonnellate, è considerata uno dei più bei relitti del Mar Mediterraneo. Rimangono i suoi resti corrosi, che vivono una seconda vita insieme ad anthias, cernie e dotti che vi nuotano in mezzo, ed è un pezzo di storia che non ha nulla da invidiare a un museo.

«Museo subacqueo» lo chiama Ivan Rullo. Fotografo varesino che ha alle spalle 700 immersioni e 20 relitti visitati, si è immerso già tre volte per la «bella dama», come la chiamano alcuni, e lo ha fatto perché lo appassiona moltissimo «vedere senza toccare, documentare e permettere a tutti in qualche modo di visitare un luogo che non è raggiungibile ai più, lasciando peraltro una memoria di ciò che prima o poi si consumerà definitivamente».

C'è un mondo sott'acqua e lo si può facilmente scorgere perché «le stive sono aperte»: ecco quindi che, dopo lo shock di trovarsi come «di fronte a un palazzo», appaiono d'improvviso un autocarro Fiat 626, una Fiat 508 Torpedo Militare, una lussuosa berlina Fiat 1500 C e diverse moto Guzzi. Tutti mezzi di un'epoca che non c’è più, ma che sopravvive sotto di noi.

«Quando ti trovi a tu per tu con i parafanghi delle Fiat degli anni '40, è un vero e proprio viaggio nel tempo. Quando sei là, ti accorgi subito di come il tempo si sia fermato ad allora, quasi come stagnato. E tu lo puoi vedere per come è rimasto. È senza dubbio un'immersione speciale, diversa da tutte le altre».

Qualcuno ha cercato di modificarne la storia. A poppa, fuori dalla nave, c'è una moto. «Si sospetta che abbiano provato a prenderne una tanti anni fa, ma non ci sono riusciti e la moto è caduta a fondo». Quasi come se il destino avesse voluto dire che è inutile tentare di cambiare le sorti di ciò che avvenne perché tanto il passato non si può cambiare.
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