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La centrale idroelettrica tra boschi e laghetti in Sicilia: energia "pulita" dagli inizi del '900

In pochi conoscono la sua esistenza in un’area protetta di dieci chilometri, lungo il corso del fiume Cassibile. La presenza della centrale è realmente poco visibile

  • 9 settembre 2022

La Riserva Naturale di Cava Grande del Cassibile non ha bisogno di presentazioni, le sue immagini fanno ogni estate il giro del mondo e sono migliaia gli escursionisti ed i turisti che scelgono di visitarla.

C’è chi riesce a coglierne la magia dei paesaggi, chi la ricchezza naturalistica, chi semplicemente cerca i "laghetti" per fare un tuffo nelle loro acque verde smeraldo. Tra questi ultimi purtroppo c’è anche chi scambia la riserva per un acquapark, perché troppo facilmente si dimentica il contesto in cui ci troviamo che merita rispetto e un minimo di soggezione.

Sono in pochi a essere a conoscenza del fatto che all’interno del suo territorio insiste una importante Centrale idroelettrica in attività.

In un’area protetta che si estende per circa 10 chilometri, lungo il corso del fiume Cassibile, la presenza della Centrale, e delle opere idrauliche ad essa connesse, è realmente poco visibile.

Non si tratta di un’opera recente, risale all’inizio del ‘900 e per i suoi tempi è stata senza dubbio pionieristica. Ha permesso in tutti questi anni, con un periodo di interruzione, la produzione di energia rinnovabile, in alternativa ai combustibili fossili sfruttando in maniera efficiente la potenza dell’acqua, che per secoli negli stessi luoghi ha azionato le ruote dentate dei nostri mulini.
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La prima centrale idroelettrica al mondo era stata inaugurata negli USA nel 1881, pochi anni dopo anche in Italia vengono progettate le prime e già alla fine dell’800 in Sicilia, Francavilla e Castiglione sono tra i primi comuni ad avere l’energia elettrica "pulita" grazie alla centrale costruita sul fiume Alcantara.

Nel frattempo qualche visionario sta già immaginando di realizzarne una dentro la Cava Grande del Cassibile. Bisogna fare un salto indietro di circa 120 anni e calarsi nella realtà di inizio del XX secolo per rendersi conto di quanto questo progetto fosse una sfida avveniristica.

L’idea che si aveva della Sicilia, e che ancora permane in molti, era di una terra arida, con scarsi corsi d’acqua stagionali, non certo la regione ideale per produrre energia idroelettrica che richiede acqua con una certa costanza.

In realtà la storica presenza di numerosi mulini lungo il Cassibile, e un po’ in tutti gli Iblei, era la testimonianza che in questo territorio l’acqua non mancava mai.

Il motivo di questa presenza costante è da ricercare nella natura dei luoghi, perché la roccia calcarea delle cave iblee filtra le acque piovane e le restituisce lentamente attraverso numerose piccole sorgenti che alimentano costantemente i corsi d’acqua.

Altro motivo che rendeva il progetto di difficile realizzazione era la natura impervia dei luoghi, selvaggi e inospitali. Eppure in soli tre anni l’impianto venne realizzato e nel 1910 era già funzionante. Per convogliare l’acqua da una certa altezza, necessaria per azionare le turbine, venne progettato un sistema ingegnoso.

Lungo il corso del fiume, a circa 337 metri di quota, nei pressi di contrada Carrubella, l’acqua del fiume venne deviata per mezzo di uno sbarramento, la “Prisa”, all’interno di una condotta artificiale, una galleria scavata quasi interamente nella roccia. La strada di servizio alla Prisa è oggi all’interno dell’itinerario di Carrubella, uno dei sentieri percorribili della Riserva.

Il canale corre a mezza costa lungo la fiancata destra di Cava Grande, per poco più di 8 chilometri, con una lieve pendenza fino alla fine della cava, dove venne realizzata la centrale.

L’acqua termina la sua corsa in un modesto bacino di carico da dove, grazie a una condotta forzata, compie un salto di circa 270 metri fino alla centrale sottostante.

Nell’edificio si riconosce lo stile dell’architettura industriale di inizio ‘900. Dopo una sosta forzata, dal 2017 la centrale è stata restaurata e riattivata con una capacità di 2,2 megawatt.

A ridosso della centrale versa in stato di abbandono il cosiddetto villaggio Enel, un complesso di edifici dove fino agli anni ’60 viveva una piccola comunità fatta dagli operai della centrale e dalle loro famiglie.

L’intero villaggio è stato messo in vendita dall’Enel ma ad oggi non è ancora partito un progetto per il suo recupero e il riuso, un vero peccato che una struttura del genere non sia ancora riuscita a trovare una nuova destinazione in un contesto naturalistico di grande pregio come quello di Cava Grande.
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