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La leggenda della (audace) principessa siciliana: la brigantessa tradita da una strega

Stiamo parlando di una certa Maretta, donna bellissima e audace che capeggiava una banda e proteggeva l'antico borgo. Fino al complotto per violare la sua castità

Livio Grasso
Archeologo
  • 24 agosto 2022

Che ci crediate o meno il borgo di Maletto, sito in provincia di Catania, custodisce un passato ricco di tradizioni e misteri. Secondo le fonti storiche, il paesino fu fondato nel 1263 dallo svevo Manfredi di Maletto, conte di Mineo e parente dell’imperatore Federico II di Svevia.

Quest’ultimo, proprio qui, innalzò un poderoso castello di cui ancora oggi se ne possono ammirare i ruderi. Il maniero fu edificato a ridosso di un’alta rupe costituita da roccia arenaria. Nel tempo, inoltre, attorno alla fortezza andò sviluppandosi e forgiandosi il centro abitato.

In questo luogo, a detta dei più, pare che visse una principessa da cui si crede abbia tratto origine il nome dell’odierna borgata. Stiamo parlando di una certa Maretta, donna bellissima e audace che capeggiava una banda di briganti adusi a compiere razzie ai danni delle città confinanti.

A quanto sembra tutti i bottini ricavati venivano custoditi all’interno di un fortilizio del territorio di Maletto ove, almeno così si vocifera, l’intera combriccola dei fuorilegge era solita rifugiarsi. Per molti anni Maretta fu a capo della contrada, governando con saggezza e magnanimità.
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Dopo la sua morte, si tramanda che il suo spirito rimase a vegliare sulla "cittadina" notte e giorno. Per di più, diversi racconti popolari narrano che la sua anima dimori tuttora dentro le mura dell’antica rocca.

Prestando fede a tale aneddoto, il toponimo del comune etneo deriverebbe dal nome della brigantessa; non a caso, in vernacolo, il paese viene solitamente pronunciato "Marettu".

Esiste, tuttavia, un’altra versione della leggenda che considera Maretta come figlia di Ermes, messaggero degli dèi. La donna, pertanto, data la chiara discendenza divina, sarebbe stata una semidea investita di straordinari poteri e, in particolare, di un’incredibile velocità.

Era talmente fulminea da intrufolarsi come un lampo dentro ogni abitazione e rubare tutto ciò che avvistava senza essere individuata.

Ciononostante, il prezzo da pagare per un dono così prezioso era tutt’altro che banale: ogni abilità di cui era in possesso, infatti, dipendeva strettamente dalla sua illibatezza.

Malgrado più volte fosse stata tentata da numerosi corteggiatori libidinosi, non cedette mai ad alcun impulso amoroso e conservò intatta la propria virtù.

Di lì a poco, però, accadde che tre malfattori la prendessero di mira; desiderosi di violarne la castità architettarono un diabolico piano con il supporto di una strega.

Costei, dopo essersi incontrata segretamente con quei furfanti, consigliò loro di escogitare un espediente per condurre la semidea nella valle del Simeto.

Questo lembo di terra, infatti, era pullulante di grossi papaveri emananti una fragranza che intorpidiva i sensi di chiunque ne respirasse il profumo.

Così, una volta ordito l’inganno, si presentarono al cospetto della principessa supplicandola di essergli d’aiuto nel trafugamento di un forziere ricolmo d’oro. Senza pensarci due volte, decise di accompagnarli fin laggiù.

Una volta giunta ai piedi di quel campo di rosolacci, cadde in deliquio, ma, poco prima di svenire, riuscì ugualmente a strappare le maschere di carbone che i tre uomini avevano furbescamente indossato per evitare di assopirsi. Dunque, tutti e quattro furono travolti da un sonno profondo e letale.

Non essendo stati ritrovati da nessuno, morirono di inedia. Ermes, quando si imbatté nel corpo esanime della figlia, riuscì comunque a parlare con il suo spirito.

Anche da morta diede prova di grande fedeltà nei confronti dei suoi conterranei. Difatti confidò al padre di volersi ergere a tutela del luogo sotto forma di entità spirituale. Da allora si dice che la coraggiosa principessa continui ad aleggiare sul paesello di Maletto.
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