La nuova frontiera contro il tumore al seno: la vittoria di Roberta Cillari a Unipa
Dalla ricerca ai laboratori che mirano al futuro della lotta contro il tumore al seno: la dottoranda Roberta vince di nuovo per la sua ricerca, ve la raccontiamo
Roberta Cillari
Dalla ricerca ai laboratori che guardano al futuro della lotta contro il tumore al seno: la dott.ssa Roberta Cillari, dottoranda UniPa, vince per la seconda volta la post-doctoral fellowship della Fondazione Umberto Veronesi, per il suo progetto di ricerca “Nanomedicine avanzate per la terapia e diagnosi del cancro al seno”.
Sono 925.000 le donne che vivono dopo una diagnosi di tumore al seno, secondo i dati del report “I numeri del cancro in Italia nel 2024”, pubblicati dal Ministero della Salute. Questo numero è in crescita costante, facendo del cancro al seno la neoplasia (tumore, ndr) più frequente nel sesso femminile.
Negli anni ricercatori e dottorandi si sono dati da fare per affrontare la malattia, sviluppando tecniche di cura sempre nuove e meno invasive. Protagonista della nuova frontiera della diagnosi e della cura del tumore al seno, è la nanomedicina: che oggi si attesta come una piattaforma terapeutica in crescente sviluppo e sperimentazione.
Proprio su questa ha voluto incentrare la sua ricerca la dottoressa Roberta Cillari, che insieme al suo gruppo di ricerca, coordinato dal professore Nicolò Mauro, ha vinto per la seconda volta la "post-doctoral fellowship" della Fondazione Umberto Veronesi, da anni affermatasi come autorità e punto di riferimento nel panorama della ricerca oncologica.
«La mia ricerca si occupa di nanomedicina avanzata per la terapia del cancro al seno. Si tratta di particelle o sistemi di dimensione veramente molto piccola, parliamo di un miliardesimo di metro nella scala dei nanometri, quindi persino più piccoli di quella che può essere una cellula umana - dichiara Roberta Cillari, raccontando della sua ricerca -.
Questi sistemi vengono prima disegnati e poi ingegnerizzati, per colpire in maniera specifica le cellule tumorali, senza intaccare le cellule sane e in questo modo effettuare trattamenti mirati, evitando tutte le complicazioni generalmente associate ai classici trattamenti antitumorali come la chemioterapia. Sappiamo che ha tantissimi effetti collaterali a causa della tossicità dei farmaci che raggiungono in maniera aspecifica tutto l’organismo, sprigionando un’azione tossica anche dove non è necessario».
La nanomedicina è ormai una realtà affermata, esistono già dei trattamenti approvati per diversi tumori solidi, tra cui alcune per il cancro al seno. Queste però «funzionano come dei sistemi per il trasporto dei chemioterapici tradizionali - aggiunge Roberta Cillari -. Questo farmaco viene inserito in questo piccolo nanosistema che, grazie alle sue caratteristiche lo rilascia in maniera specifica».
Qual è quindi la sfida innovativa di questa ricerca? «Quello che faccio io con il mio gruppo di ricerca, coordinato dal professore Mauro, è quello di andare un passetto oltre: cioè di "ingegnerizzare" in modo più strutturata queste piccole particelle per far sì che queste stesse possano essere tracciate nell'organismo ed essere osservate dal di fuori, per permetterci sia di vedere quando arrivano nel tessuto target, ma anche di monitorare le modifiche dell’ambiente che circonda il tumore e come il paziente risponde al trattamento».
È infatti importante per il gruppo di ricerca personalizzare quanto più possibile la terapia in base alle esigenze della paziente:« Sappiamo che i tumori sono molto eterogenei. Magari uno stesso trattamento può andar bene per un paziente, mentre un altro può non rispondere allo stesso modo, in quel caso bisognerebbe adattare la terapia».
Altri elementi innovativi della ricerca stanno nella funzione dei dispositivi che possono essere attivati anche dall’esterno: «Questi piccoli strumenti possono essere sfruttati mediante attivazione anche da remoto per essere loro stessi un’arma contro il tumore. Quindi non solo per veicolare un farmaco chemioterapico, ma anche per essere attivati con la luce e bruciare il tumore (si chiama ipertermia).
Allo stesso tempo possono essere caricati con più farmaci con terapie di combinazione. O ancora, nell'ultimo progetto finanziato questo 2026, abbiamo anche proposto la struttura di questi nanosistemi per intaccare contemporaneamente più "pathway cellulari" (meccanismi intracellulari, ndr), colpendo la stessa formazione tumorale da diversi punti superando la resistenza del tumore».
In questo modo non si prova a non dare il tempo al tumore di adattarsi alla terapia, rendendola inefficace: «Di solito succede che quando si fa un trattamento singolo che agisce su un unico meccanismo, il tumore all'inizio risponde, poi si adatta e smette di rispondere. Quindi l'obiettivo a lungo termine è sempre quello di rispondere a un bisogno della clinica, superando i limiti delle terapie tradizionali».
A muovere i ricercatori, è dunque la volontà di avere un impatto sul'oggi, affinando sempre di più le tecniche: «Ho conseguito il dottorato a dicembre 2024. La motivazione è voler dare un contributo reale così da avere un domani nuove cure, terapie di ultima generazione.
Ma ci sono sacrifici contornati da un alone di incertezza, perché il quadro in cui si trova chi fa o chi vorrebbe fare ricerca sicuramente non è ideale. Io devo ringraziare "Fondazione Veronesi" che essendo una fondazione privata, grazie alle borse di studio che bandisce ogni anno sostiene, come tante altre fondazioni qui in Italia, i giovani ricercatori come me che dopo il dottorato si trovano un po' spaesati perché di fatto la precarizzazione è una realtà.
Finito il dottorato, i finanziamenti alla ricerca sono sempre di meno. C'è stata una boccata d'aria con il Pnrr, sono stati assunti tanti ricercatori, però allo stesso tempo questi stessi, adesso che i fondi Pnrr sono esauriti, devono trovare una collocazione. C’è un problema reale di come poter stabilizzare questi ricercatori. Ma conosco anche tanti colleghi che nonostante la volontà e le capacità, devono purtroppo lasciare l'Italia e andare a cercare all'estero possibilità diverse o proprio cambiare lavoro perché oggi non ci sono garanzie».
Il lavoro di Roberta Cillari, racconta il coordinatore del gruppo di ricerca Nicolò Mauro, inizia già nel 2018: «Il progetto di nanomedicina per nanostica avanzata, alla base degli studi della dottoressa Cillari, è iniziato qualche tempo fa direttamente con me. Dopo essere tornato a Paermo da altre sedi universitarie, ho iniziato gli studi di nanomedicina con nanoparticelle di carbonio, vincendo tre diverse fellowship dal 2018 al 2020, diventando prima ricercatore, poi professore qui a Palermo.
Da sempre ci siamo occupati di tumore al seno, collaborando con colleghi di diversi settori come fisica del dipartimento "Emilio Segrè", il professor Fabrizio Messina che si occupa di caratterizzazione avanzate ottiche, ma anche con il dipartimento di chimica, con la scuola di medicina. Con quest'ultima abbiamo delle collaborazioni per la valutazione delle proprietà di contrasto sia in risonanza magnetica nucleare e altre tecniche».
Lo studio si concentra, oltre che sull’innovazione di tecniche terapiche già esistenti, nel coinvolgimento e collaborazione tra diverse discipline: «Grazie a questa ricerca trans-disciplinare - aggiunge il professore Mauro - abbiamo messo a punto delle metodiche di sintesi di nanomateriali avanzate in grado di svolgere funzioni sia diagnostiche che, simultaneamente, terapeutiche. Noi facciamo la parte di sintesi dei materiali e di caratterizzazione, poi ci sono i fisici che fanno la caratterizzazione ottica e poi i colleghi di medicina che ne valutano il contrasto in risonanza magnetica nucleare.
L'obiettivo finale è quello di mettere insieme competenze mediche, fisiche, chimiche, tecnologico-farmaceutiche per avere un oggetto di dimensioni pressoché di qualche miliardesimo di metro, per visualizzare dove si vanno ad accumulare - noi li progettiamo per accumularsi all'interno delle masse tumorali, anche nelle metastasi - e una volta che si possono visualizzare dall'esterno con delle tecniche di diagnosi, come per esempio la risonanza magnetica nucleare, ma anche l'imaging a fluorescenza, possono essere attivati con la luce dall'esterno con dei laser.
Una volta attivati, svolgono una azione terapeutica non solo su base farmaceutica, ma anche fisica, perché aumenta selettivamente la temperatura solo del tumore, il che implica una mortalità immediata delle cellule per ablazione fototermica oppure per ipertermia.
Chiaramente questo apre le porte a terapie sia precise, saremo in grado, spero in futuro, di vedere dove sono accumulati i sistemi e quindi fisicamente dove poterli attivare con un laser o con una sorgente esterna, ma diventano anche personalizzate perché i diversi pazienti non accumulano il sistema allo stesso modo e potendolo guardare dall'esterno si può personalizzare la terapia sia in termini di attivazione nei siti bersaglio, ma anche in termini di modulazione dell'effetto terapeutico».
Sono 925.000 le donne che vivono dopo una diagnosi di tumore al seno, secondo i dati del report “I numeri del cancro in Italia nel 2024”, pubblicati dal Ministero della Salute. Questo numero è in crescita costante, facendo del cancro al seno la neoplasia (tumore, ndr) più frequente nel sesso femminile.
Negli anni ricercatori e dottorandi si sono dati da fare per affrontare la malattia, sviluppando tecniche di cura sempre nuove e meno invasive. Protagonista della nuova frontiera della diagnosi e della cura del tumore al seno, è la nanomedicina: che oggi si attesta come una piattaforma terapeutica in crescente sviluppo e sperimentazione.
Proprio su questa ha voluto incentrare la sua ricerca la dottoressa Roberta Cillari, che insieme al suo gruppo di ricerca, coordinato dal professore Nicolò Mauro, ha vinto per la seconda volta la "post-doctoral fellowship" della Fondazione Umberto Veronesi, da anni affermatasi come autorità e punto di riferimento nel panorama della ricerca oncologica.
«La mia ricerca si occupa di nanomedicina avanzata per la terapia del cancro al seno. Si tratta di particelle o sistemi di dimensione veramente molto piccola, parliamo di un miliardesimo di metro nella scala dei nanometri, quindi persino più piccoli di quella che può essere una cellula umana - dichiara Roberta Cillari, raccontando della sua ricerca -.
Questi sistemi vengono prima disegnati e poi ingegnerizzati, per colpire in maniera specifica le cellule tumorali, senza intaccare le cellule sane e in questo modo effettuare trattamenti mirati, evitando tutte le complicazioni generalmente associate ai classici trattamenti antitumorali come la chemioterapia. Sappiamo che ha tantissimi effetti collaterali a causa della tossicità dei farmaci che raggiungono in maniera aspecifica tutto l’organismo, sprigionando un’azione tossica anche dove non è necessario».
La nanomedicina è ormai una realtà affermata, esistono già dei trattamenti approvati per diversi tumori solidi, tra cui alcune per il cancro al seno. Queste però «funzionano come dei sistemi per il trasporto dei chemioterapici tradizionali - aggiunge Roberta Cillari -. Questo farmaco viene inserito in questo piccolo nanosistema che, grazie alle sue caratteristiche lo rilascia in maniera specifica».
Qual è quindi la sfida innovativa di questa ricerca? «Quello che faccio io con il mio gruppo di ricerca, coordinato dal professore Mauro, è quello di andare un passetto oltre: cioè di "ingegnerizzare" in modo più strutturata queste piccole particelle per far sì che queste stesse possano essere tracciate nell'organismo ed essere osservate dal di fuori, per permetterci sia di vedere quando arrivano nel tessuto target, ma anche di monitorare le modifiche dell’ambiente che circonda il tumore e come il paziente risponde al trattamento».
È infatti importante per il gruppo di ricerca personalizzare quanto più possibile la terapia in base alle esigenze della paziente:« Sappiamo che i tumori sono molto eterogenei. Magari uno stesso trattamento può andar bene per un paziente, mentre un altro può non rispondere allo stesso modo, in quel caso bisognerebbe adattare la terapia».
Altri elementi innovativi della ricerca stanno nella funzione dei dispositivi che possono essere attivati anche dall’esterno: «Questi piccoli strumenti possono essere sfruttati mediante attivazione anche da remoto per essere loro stessi un’arma contro il tumore. Quindi non solo per veicolare un farmaco chemioterapico, ma anche per essere attivati con la luce e bruciare il tumore (si chiama ipertermia).
Allo stesso tempo possono essere caricati con più farmaci con terapie di combinazione. O ancora, nell'ultimo progetto finanziato questo 2026, abbiamo anche proposto la struttura di questi nanosistemi per intaccare contemporaneamente più "pathway cellulari" (meccanismi intracellulari, ndr), colpendo la stessa formazione tumorale da diversi punti superando la resistenza del tumore».
In questo modo non si prova a non dare il tempo al tumore di adattarsi alla terapia, rendendola inefficace: «Di solito succede che quando si fa un trattamento singolo che agisce su un unico meccanismo, il tumore all'inizio risponde, poi si adatta e smette di rispondere. Quindi l'obiettivo a lungo termine è sempre quello di rispondere a un bisogno della clinica, superando i limiti delle terapie tradizionali».
A muovere i ricercatori, è dunque la volontà di avere un impatto sul'oggi, affinando sempre di più le tecniche: «Ho conseguito il dottorato a dicembre 2024. La motivazione è voler dare un contributo reale così da avere un domani nuove cure, terapie di ultima generazione.
Ma ci sono sacrifici contornati da un alone di incertezza, perché il quadro in cui si trova chi fa o chi vorrebbe fare ricerca sicuramente non è ideale. Io devo ringraziare "Fondazione Veronesi" che essendo una fondazione privata, grazie alle borse di studio che bandisce ogni anno sostiene, come tante altre fondazioni qui in Italia, i giovani ricercatori come me che dopo il dottorato si trovano un po' spaesati perché di fatto la precarizzazione è una realtà.
Finito il dottorato, i finanziamenti alla ricerca sono sempre di meno. C'è stata una boccata d'aria con il Pnrr, sono stati assunti tanti ricercatori, però allo stesso tempo questi stessi, adesso che i fondi Pnrr sono esauriti, devono trovare una collocazione. C’è un problema reale di come poter stabilizzare questi ricercatori. Ma conosco anche tanti colleghi che nonostante la volontà e le capacità, devono purtroppo lasciare l'Italia e andare a cercare all'estero possibilità diverse o proprio cambiare lavoro perché oggi non ci sono garanzie».
Il lavoro di Roberta Cillari, racconta il coordinatore del gruppo di ricerca Nicolò Mauro, inizia già nel 2018: «Il progetto di nanomedicina per nanostica avanzata, alla base degli studi della dottoressa Cillari, è iniziato qualche tempo fa direttamente con me. Dopo essere tornato a Paermo da altre sedi universitarie, ho iniziato gli studi di nanomedicina con nanoparticelle di carbonio, vincendo tre diverse fellowship dal 2018 al 2020, diventando prima ricercatore, poi professore qui a Palermo.
Da sempre ci siamo occupati di tumore al seno, collaborando con colleghi di diversi settori come fisica del dipartimento "Emilio Segrè", il professor Fabrizio Messina che si occupa di caratterizzazione avanzate ottiche, ma anche con il dipartimento di chimica, con la scuola di medicina. Con quest'ultima abbiamo delle collaborazioni per la valutazione delle proprietà di contrasto sia in risonanza magnetica nucleare e altre tecniche».
Lo studio si concentra, oltre che sull’innovazione di tecniche terapiche già esistenti, nel coinvolgimento e collaborazione tra diverse discipline: «Grazie a questa ricerca trans-disciplinare - aggiunge il professore Mauro - abbiamo messo a punto delle metodiche di sintesi di nanomateriali avanzate in grado di svolgere funzioni sia diagnostiche che, simultaneamente, terapeutiche. Noi facciamo la parte di sintesi dei materiali e di caratterizzazione, poi ci sono i fisici che fanno la caratterizzazione ottica e poi i colleghi di medicina che ne valutano il contrasto in risonanza magnetica nucleare.
L'obiettivo finale è quello di mettere insieme competenze mediche, fisiche, chimiche, tecnologico-farmaceutiche per avere un oggetto di dimensioni pressoché di qualche miliardesimo di metro, per visualizzare dove si vanno ad accumulare - noi li progettiamo per accumularsi all'interno delle masse tumorali, anche nelle metastasi - e una volta che si possono visualizzare dall'esterno con delle tecniche di diagnosi, come per esempio la risonanza magnetica nucleare, ma anche l'imaging a fluorescenza, possono essere attivati con la luce dall'esterno con dei laser.
Una volta attivati, svolgono una azione terapeutica non solo su base farmaceutica, ma anche fisica, perché aumenta selettivamente la temperatura solo del tumore, il che implica una mortalità immediata delle cellule per ablazione fototermica oppure per ipertermia.
Chiaramente questo apre le porte a terapie sia precise, saremo in grado, spero in futuro, di vedere dove sono accumulati i sistemi e quindi fisicamente dove poterli attivare con un laser o con una sorgente esterna, ma diventano anche personalizzate perché i diversi pazienti non accumulano il sistema allo stesso modo e potendolo guardare dall'esterno si può personalizzare la terapia sia in termini di attivazione nei siti bersaglio, ma anche in termini di modulazione dell'effetto terapeutico».
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