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La principessa "viddana" di villa Deliella: bella e ricca ma snobbata dalla nobiltà sicula

Lo scandaloso caso di Villa Deliella è un episodio di storia recente ormai noto a tutti: l’edificio venne abbattuto dalle ruspe, la notte del 28 novembre del 1959

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 18 settembre 2023

La principessa Anna Drogo

Lo scandaloso caso di Villa Deliella è un episodio di storia recente ormai noto a tutti: l’edificio venne abbattuto dalle ruspe, la notte del 28 novembre del 1959, con il tacito consenso del proprietario Francesco Lanza di Scalea.

Nel 1954 l'assessorato ai beni culturali della Regione siciliana aveva posto un vincolo sulla villa, ma il comune di Palermo lo aveva revocato perché non erano ancora trascorsi 50 anni dalla data di costruzione dell’edificio.

Nel 1959 fu approvata dal consiglio comunale una variante del piano regolatore di Palermo, per poter costruire nell'area di via Libertà, sacrificando molte palazzine costruite tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento; anche il piano per demolire Villa Deliella venne approvato in gran fretta il 28 novembre, così da riuscire a evitare l’apposizione del vincolo dei beni culturali che sarebbe scattata il 31 dicembre 1959.

I lavori vennero iniziati nel pomeriggio stesso e conclusi prima dell’alba del giorno successivo. Oggi rimangono solo alcune fotografie in bianco e nero di quello splendido capolavoro liberty, progettato dall'architetto Ernesto Basile nel 1898 per la famiglia dei principi Deliella, realizzato tra il 1907 e il 1909 sotto la direzione di Salvatore Rutelli e arredato con mobili Ducrot.
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Meno nota invece è probabilmente la storia dei primi proprietari della villa, la principessa Anna Drogo e il marito Nicolò Lanza, primo principe di Deliella.

Anna (Annita) era nata a Pietraperzia il 4 ottobre del 1875. Era una donna dal temperamento forte e i suoi ritratti giovanili ci restituiscono l’immagine di una fanciulla attraente (nonostante i lineamenti un po’ marcati), molto elegante e dai modi raffinati.

Nel periodo della “Palermo felicissima”, Annita Drogo frequentava tutta l’alta società cittadina: era una nobildonna colta, era stata educata da due istitutrici (una tedesca e l’altra francese) ed amava molto viaggiare.

Per ricchezza e stile di vita poteva eguagliare la nobiltà isolana più prestigiosa, tuttavia la principessa Deliella non fu mai veramente accettata dall’aristocrazia, le rimase sempre addosso come un marchio infamante il soprannome discriminatorio di "principessa viddana" (contadina, in dialetto): il nonno di Annita era infatti un mezzadro.

Calogero Drogo era nato contadino e si era arricchito dall’oggi al domani, approfittando forse delle confische dei beni ecclesiastici, figurando dapprima come prestanome e poi come proprietario di case e terreni appartenuti a enti religiosi.

Da Calogero sarebbe iniziata la rapida scalata economica e sociale dei Drogo, talmente improvvisa da stupire persino gli abitanti di Pietrapierzia: era allora cominciata a circolare la voce che un giorno, in un campo, durante i lavori di aratura, Calogero avesse trovato un tesoro (un forziere pieno di monete d’oro) con cui aveva acquistato pezzo dopo pezzo ubertosi terreni agricoli nel cuore della Sicilia.

Il padre di Annita, Rocco Drogo (che sarebbe anche diventato sindaco) si era dunque ritrovato ricco possidente terriero, padrone di ben sei o sette feudi (Aiuolo, Camitrici, Cipolla, Garrasia, Rigiuro, Tallarita) oltre a case e palazzi.

Qualcuno diceva che per diventare ancora più ricco non esitava a prestare anche denaro a usura. Il 21 gennaio 1871, per fare il salto di qualità, Rocco Drogo aveva sposato la figlia del barone Bonaffini: lui aveva quarantatré anni e l’attempata sposa ne aveva trenta.

Sicuramente era stato un matrimonio d’interesse e solo dopo quattro anni - forse a causa dell’età tardiva dei due coniugi - le nozze erano state allietate dalla nascita dell’unica figlia, Annita.

Anche per Annita venne combinato un matrimonio con un aristocratico: la fanciulla fu data in sposa al coetaneo Nicolò Placido Lanza, considerato dai Drogo un ottimo partito.

Nicolò era infatti uno dei figli di don Francesco Gerolamo Lanza, principe di Scalea e di donna Rosa (figlia a sua volta del conte Lucio Mastrogiovanni Tasca e di donna Beatrice Lanza dei principi di Trabia). Francesco Girolamo Lanza, per far si che Nicolò potesse impalmare la ricchissima Anita Drogo, chiese e ottenne da re Umberto I per il figlio il titolo di “principe di Deliella”.

Sonia Zaccaria, nell’interessante articolo “Annita Drogo: la principessa villana” pubblicato nel 2020 sul semestrale “Studi storici Siciliani” ha ritenuto di poter ravvisare nella figura di Rocco Drogo e della figlia Annita, dei parallelismi con don Calogero Sedara e con Angelica del romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

I due padri – seppure uno sia reale e l’altro sia un personaggio letterario - incarnano la medesima ambizione dei borghesi arricchiti di ottenere finalmente, attraverso il matrimonio delle figlie con un partito aristocratico, la tanto desiderata legittimazione sociale.

Nicolò e Tancredi, a loro volta, appartenevano a rami collaterali, disponendo di magre risorse economiche erano dunque molto attratti dai patrimoni dei facoltosi "parvenu".

Secondo Zaccaria si potrebbe pensare che Tomasi di Lampedusa si sia proprio ispirato alla storia della Principessa Deliella – che potrebbe aver anche conosciuto direttamente - per il personaggio di Angelica.

Rocco Drogo sperava dunque che dall’unione di Annita e di Nicolò potesse avere origine un casato che unisse il titolo altisonante dei Lanza al patrimonio dei nuovi arricchiti Drogo, un casato destinato a durare nei secoli, ma il fato aveva ben altri progetti...

Non fu infatti un matrimonio felice quello di Annita e di Nicolò (così come nel Gattopardo non lo fu quello di Angelica e Tancredi) perché non solo di eredi non ne vennero ma il Lanza si rivelò un pessimo marito: egoista, poco ambizioso, spendaccione e fedigrafo.

Diversamente dai fratelli Giuseppe (sindaco di Palermo e senatore) e Pietro (parlamentare alla Camera e poi sottosegretario per gli Affari Esteri e senatore), Nicolò Placido abbandonò subito la vita politica. Trascorreva lunghi periodi lontano dalla moglie (che si consumava nella gelosia), conducendo una vita oziosa e sperperando il patrimonio dei Drogo, al tavolo da gioco o con le sue numerose amanti.

La principessa invece dopo la morte del padre nel 1909, nonostante possedesse a Palermo la bellissima villa Deliella, cominciò a vivere per gran parte dell’anno nei suoi feudi agricoli, in particolare nel feudo di Camatrici (in territorio di Piazza Armerina), amministrando l’immenso patrimonio fondiario al posto del marito inetto che non sopportava nè la moglie provinciale né la vita di paese.

Per il suo altissimo tenore di vita, Nicolò, amante della vita mondana, non esitava anche a rubare attingendo al patrimonio della moglie.

Si mormorava in paese che avesse ucciso nel 1913 Filippo Barile, l’amministratore di uno dei feudi dei Drogo, colpevole di aver riferito alla principessa di alcuni ammanchi, e di aver indicato il Lanza come responsabile.

Si diceva altresì che il principe dovette allontanarsi dal paese per non incorrere nella vendetta della mafia di cui il Barile era un affiliato; a questo punto però Anita non volle più saperne di vivere col marito: gli assegnò una quota annua e lo esiliò a Palermo, a Villa Deliella.

La scelta venne ritenuta cosa opportuna anche dal fratello di Nicolò, Pietro Lanza di Scalea sottosegretario al Ministero degli Esteri nel governo Giolitti, ambizioso personaggio politico che non poteva permettersi certo uno scandalo. Il principe di Deliella si spense nel silenzio nel 1934, a 59 anni, mentre Annità morirà in una clinica palermitana alcuni anni dopo, nel 1949, per leucemia.

Le spoglie della principessa si trovano oggi in una cappella nel cimitero di Pietrapierzia. Annita lasciò per testamento molti dei suoi beni, tra cui Villa Deliella e il feudo Camatrici, al nipote del marito Francesco Lanza di Scalea, illudendosi che avrebbe continuato l’asse ereditario dei principi di Deliella… Alcuni terreni andarono a parenti e a dipendenti chele erano stati fedelmente vicini.

Fece importanti lasciti anche alla Chiesa Madre di Pietrapierzia ( ne aveva in passato anche finanziato pure l’impianto di illuminazione elettrica) e alle suore Ancelle Riparatrici del Sacro Cuore, perché si occupassero delle orfanelle. Sarebbe interessante una rivisitazione storica della figura di Annita Drogo, donna di carattere che, dopo una vita coniugale fatta di infedeltà e contrasti, scelse di vivere lontano dalla mondanità, amministrando con saggezza i suoi beni e facendo molta beneficenza.

Risulta oggi introvabile l’interessante romanzo storico “La Principessa di Deliella” dello scrittore Kalino Tavania (pseudonimo dell’ingegnere Calogero Nucera, nato a Mussomeli nel 1903) pubblicato nel 1985. Il nome di Annita resta invece purtroppo legato ad una spregevole vicenda di speculazione edilizia.
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