"La Sicilia Liberata", il poema sconosciuto: 30mila versi (che tutti dovrebbero leggere)
Vitale, nato a Gangi nel 1734, era sacerdote, medico e uomo di profonda cultura. A 38 anni diventò cieco, proprio mentre stava scrivendo il suo capolavoro
La copertina de "La Sicilia Liberata"
Tra i grandi capolavori della letteratura epica - l’Iliade, l’Eneide, la Divina Commedia etc. – c’è un’opera colossale che pochi conoscono: La Sicilia Liberata, scritta in siciliano nel Settecento da Giuseppe Fedele Vitale. Un poema eroico di ben 30.000 versi. Sì, hai letto bene: trentamila.
Vitale, nato a Gangi nel 1734, era sacerdote, medico e uomo di profonda cultura. A 38 anni diventò cieco, proprio mentre stava scrivendo il suo capolavoro. Ma non si fermò: lo completò a memoria, dettandolo con una precisione e una forza creativa incredibili.
L’armi cantu, e l'eroi, chi di suvranu
Magnanimu disiu caldu lu cori,
Di l'arcu di lu zelu armau la manu,
E di Sicilia discacciau li mori.
A la grand'opra ostau l'infernu invanu,
Ed Africa nisciu d'Africa fori:
Li vittorj cuntau cu li cunflitti,
E sbalurdiu la Sorti chi li vitti.
Con questa ottava inizia il poema eroico di Vitale che racconta la liberazione della Sicilia dall’Emirato Kalbita da parte del Gran Conte Ruggero I d’Altavilla.
È scritto tutto in ottava rima con versi endecasillabi: una struttura metrica rigorosa e uno stile ricco di riferimenti storici, mitologici e religiosi. E tutto questo, in lingua siciliana.
Per capire quanto sia mastodontica l’opera, racchiusa in cinque volumi, basta fare due conti: L’Eneide ha meno di 10.000 versi; La Divina Commedia ne ha circa 14.000.
La Sicilia Liberata ne ha il doppio di Dante, il triplo di Virgilio. Eppure, chi ne parla? Chi la studia? Quasi nessuno. Non viene proposta a scuola, non se ne discute nei media, non viene celebrata nei festival letterari.
Un poema di 30.000 versi può finire nell’oblio solo ‘per caso’? Ma a rimanere “ammucciato” non è solo questo poema: è l’intera letteratura in lingua siciliana, a cui viene ‘negato’ l’accesso ai siciliani, essendo quasi del tutto ignorata dai programmi di istruzione scolastica. Viene da chiedersi: perché? Cosa si teme di essa?
Il siciliano usato da Vitale non è un dialetto da osteria: è una lingua musicale, potente. Quella lingua sovradialettale di registro alto in cui, a prescindere dalla loro città di origine, hanno scritto e scrivono i migliori autori siciliani.
Questo poema eroico dimostra che il siciliano può tranquillamente essere veicolo di cultura, di epica, di bellezza. Se tutti conoscessero opere come questa, nessuno oserebbe più dire che il siciliano non è una lingua ma soltanto un insieme di dialetti.
La Sicilia Liberata dovrebbe essere letta, studiata, amata.
Dovrebbe diventare un simbolo di orgoglio culturale, un antidoto contro l’omologazione e l’oblio. Perché una lingua capace di generare un poema epico così vasto e raffinato non può essere relegata in un angolo dagli stessi siciliani. È arrivato il tempo di riscoprirla.
Vitale, nato a Gangi nel 1734, era sacerdote, medico e uomo di profonda cultura. A 38 anni diventò cieco, proprio mentre stava scrivendo il suo capolavoro. Ma non si fermò: lo completò a memoria, dettandolo con una precisione e una forza creativa incredibili.
L’armi cantu, e l'eroi, chi di suvranu
Magnanimu disiu caldu lu cori,
Di l'arcu di lu zelu armau la manu,
E di Sicilia discacciau li mori.
A la grand'opra ostau l'infernu invanu,
Ed Africa nisciu d'Africa fori:
Li vittorj cuntau cu li cunflitti,
E sbalurdiu la Sorti chi li vitti.
Con questa ottava inizia il poema eroico di Vitale che racconta la liberazione della Sicilia dall’Emirato Kalbita da parte del Gran Conte Ruggero I d’Altavilla.
È scritto tutto in ottava rima con versi endecasillabi: una struttura metrica rigorosa e uno stile ricco di riferimenti storici, mitologici e religiosi. E tutto questo, in lingua siciliana.
Per capire quanto sia mastodontica l’opera, racchiusa in cinque volumi, basta fare due conti: L’Eneide ha meno di 10.000 versi; La Divina Commedia ne ha circa 14.000.
La Sicilia Liberata ne ha il doppio di Dante, il triplo di Virgilio. Eppure, chi ne parla? Chi la studia? Quasi nessuno. Non viene proposta a scuola, non se ne discute nei media, non viene celebrata nei festival letterari.
Un poema di 30.000 versi può finire nell’oblio solo ‘per caso’? Ma a rimanere “ammucciato” non è solo questo poema: è l’intera letteratura in lingua siciliana, a cui viene ‘negato’ l’accesso ai siciliani, essendo quasi del tutto ignorata dai programmi di istruzione scolastica. Viene da chiedersi: perché? Cosa si teme di essa?
Il siciliano usato da Vitale non è un dialetto da osteria: è una lingua musicale, potente. Quella lingua sovradialettale di registro alto in cui, a prescindere dalla loro città di origine, hanno scritto e scrivono i migliori autori siciliani.
Questo poema eroico dimostra che il siciliano può tranquillamente essere veicolo di cultura, di epica, di bellezza. Se tutti conoscessero opere come questa, nessuno oserebbe più dire che il siciliano non è una lingua ma soltanto un insieme di dialetti.
La Sicilia Liberata dovrebbe essere letta, studiata, amata.
Dovrebbe diventare un simbolo di orgoglio culturale, un antidoto contro l’omologazione e l’oblio. Perché una lingua capace di generare un poema epico così vasto e raffinato non può essere relegata in un angolo dagli stessi siciliani. È arrivato il tempo di riscoprirla.
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