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La Sicilia patria delle invenzioni in Italia: la (vera) leggenda della macchina per scrivere

Una storia tra racconto e realtà, ma che ben si intreccia con lo spirito di una città viva e in fermento. Un luogo non certo secondario nella geografia del Belpaese

Federica Dolce
Avvocato e scrittrice
  • 5 settembre 2025

Non sempre le grandi invenzioni nascono nei centri industriali o nelle capitali politiche. A volte germogliano ai margini, in luoghi che sembrano lontani dal cuore dell’innovazione, ma che custodiscono un’energia creativa sorprendente.

Così, nel racconto delle origini della macchina per scrivere, spunta anche il nome di Paolo Bagolini, sacerdote catanese che, intorno al 1800, avrebbe costruito un congegno rudimentale per scrivere senza usare la penna.

Una storia sospesa tra racconto e realtà, ma che ben si intreccia con lo spirito di una città viva e in fermento. La Catania ottocentesca non era certo un luogo secondario nella geografia culturale dell’Italia. Anzi. Dopo la ricostruzione seguita al terremoto del 1693, la città aveva ritrovato slancio e orgoglio.

Le sue vie si popolavano di nuove tipografie e di circoli intellettuali; l’Università degli Studi, tra le più antiche d’Italia, era un centro di formazione vivace, soprattutto nelle scienze naturali e nelle discipline umanistiche; le accademie e le biblioteche custodivano un sapere che circolava tra studiosi, religiosi e artigiani.

In un simile contesto non è difficile immaginare esperimenti ingegnosi: macchine per semplificare il lavoro dello scriba, strumenti per accelerare la scrittura, marchingegni che anticipavano la modernità.

Se Bagolini rimane un personaggio avvolto nel mistero, i pionieri italiani documentati hanno lasciato tracce certe. Nel 1802 il conte Agostino Fantoni inventa un apparecchio per permettere alla sorella cieca di scrivere, introducendo l’uso della tastiera e perfino della carta carbone.

Poco dopo, Pellegrino Turri perfeziona il congegno, contribuendo alla diffusione dell’idea. Nel 1823 arriva il "tachitipo" di Pietro Conti da Cilavegna, antesignano della stenotipia, mentre a metà secolo il novarese Giuseppe Ravizza dà vita al celebre “cembalo scrivano”, con tasti simili a quelli di un pianoforte. Queste invenzioni italiane anticipano di decenni la fortuna commerciale della macchina da scrivere americana: la Remington del 1874, che trasforma il prototipo in un prodotto di massa.

Ma il seme era stato gettato molto prima, e proprio in Italia. Che ruolo ha, allora, la Sicilia in questa storia? Forse non quello di un brevetto certificato, ma quello di un immaginario inventivo. Non a caso già nel Settecento circolavano opere come La Sicilia inventrice, che elencavano con orgoglio le scoperte nate sull’isola.

Catania, con la sua università, i suoi conventi-laboratorio, le sue tipografie, rappresentava un terreno ideale per accogliere un’idea rivoluzionaria come quella di scrivere senza penna.

È in questo scenario che la leggenda di Bagolini acquista senso: non come certezza storica, ma come metafora di un’isola curiosa e sperimentale. Immaginiamo dunque una bottega catanese di inizio Ottocento: il profumo di carta e inchiostro, gli scaffali di libri, la luce filtrata dalle finestre barocche.

Tra i rumori della città, un sacerdote-artigiano armeggia con leve e caratteri tipografici, cercando un modo per velocizzare la scrittura. Non sappiamo se davvero il suo esperimento abbia funzionato, ma l’immagine è potente. Racconta la Sicilia che sogna il futuro, che trasforma il bisogno in invenzione, che osa senza temere il ridicolo.

Oggi, mentre digitiamo su schermi digitali e tastiere virtuali, la leggenda di Paolo Bagolini suona come un invito a guardare l’isola con occhi nuovi.

La Sicilia non è solo terra di sole e mare: è stata, ed è, una fonte inesauribile di scoperte, capace di contaminare il mondo con la sua creatività. E se la macchina da scrivere è diventata simbolo di modernità globale, l’idea che anche Catania abbia sognato la sua nascita rende questa storia ancora più affascinante.

Del resto la Sicilia è sempre stata una fonte inesauribile di idee, capace di trasformare necessità in invenzione, e invenzione in mito. E se il nome di Paolo Bagolini rimane avvolto nel mistero, tanto meglio: ogni leggenda, in Sicilia, diventa un modo per ricordare che l’isola ha sempre avuto il dono di vedere il futuro prima degli altri.
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