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Lavora ancora come si faceva nel '700: Marcello è l'ultimo artigiano delle scaglie di tartaruga

Tiene in vita l’attività di famiglia di ebanista tartarugaio che esiste da oltre un secolo. A intraprenderla fu un suo trisavolo, Antonino Meli, che lavorava come maestro d’arte alle Officine Ducrot di Palermo

  • 18 settembre 2021

Marcello Meli

C’è una bottega, nel cuore della città di Palermo, dove il tempo sembra essersi fermato e dove si lavora come si faceva nel ‘700.

A tenere in vita l’attività della famiglia Meli, ebanista tartarugaio da oltre un secolo, oggi è Marcello Meli che rappresenta la quarta generazione di artigiani.

«A intraprendere questa attività fu un mio trisavolo, nonno di mio padre, Antonino Meli che lavorava come maestro d’arte alle Officine Ducrot di Palermo. Lui rimase lì fino ad un certo punto, poi decise di aprire un’attività in proprio; siamo agli inizi del ‘900 e la prima bottega si trovava in via Colonna Rotta. Da lì venne trasferita in via D’Ossuna e adesso si trova in via Dante.

Antonio Meli ebbe due figli, Rodolfo e Giuseppe, mio padre, e tramite loro è giunta nelle mie mani questa arte che oggi, purtroppo, rischia seriamente di scomparire.

La richiesta di intervento dei clienti oggi punta principalmente al restauro di oggetti d’epoca perché esistono esigue scorte di materia prima, in conseguenza alla convenzione di Washington (CITES), patto che regola il commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione siglata nel 1975.
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Per quanto sia stata sacrosanta la stipula di questa convenzione, la stessa, in sostanza, non protegge nella fattispecie le tartarughe minacciate semmai dalla pesca selvaggia nelle acque internazionali o dalla costruzione di lidi di lusso nelle spiagge incontaminate, dove queste specie solitamente nidificano.

La mia osservazione vuole porre l’attenzione sul fatto che, per quanto sia fuori discussione la necessaria tutela delle specie, allo stesso tempo si dovrebbe pensare ad alcune soluzioni per poter portare avanti il nostro lavoro principalmente a tutela del patrimonio artistico custodito nei musei internazionali che, presto, non potrà più usufruire della giusta manutenzione».

In commercio si trovano pubblicazione ad hoc sull’arte e la storia della lavorazione delle scaglie di tartaruga, prassi che risale all’epoca delle conquiste delle Americhe. Lì gli indigeni utilizzavano proprio questo materiale per realizzare monili e oggetti di uso quotidiano.

Ad introdurre la loro conoscenza in Europa, sul finire del ‘500, furono i Sassoni e i Fiamminghi; mentre, in Sicilia, quest’arte fu introdotta dagli Spagnoli, nei primi del ‘600 e il Regno delle Due Sicilie, all’epoca, divenne punto di riferimento nel settore a livello internazionale.

Gli oggetti che rimangono realizzati con le scaglie di tartaruga sono preziosissimi e necessitano di cure precise e dettagliate per non essere attaccate dal tempo.

«Oggi è diventato difficile anche procedere con le tecniche di restauro perché la stessa colla, ad esempio, è difficile da recuperare; insomma il mercato, in generale, attorno a questo antico mestiere sta lentamente scomparendo oltre al fatto che tra i giovani nessuno è interessato a intraprendere l’attività».

Marcello Meli, praticamente l’ultimo artigiano rimasto, ha imparato osservando e lavorando con le mani direttamente al fianco del padre, come era prassi un tempo soprattutto per i mestieri artigianali.

«Non ho studiato sui libri perché questo mestiere si impara con il sudore delle mani e con le ore passate in bottega a provare e riprovare. Per questo chi visita il mio laboratorio anche rimane stupito, sembra tutto fermo nel tempo. Qui io lavoro come si faceva nel ‘700 non è cambiato nulla da questo punto di vista».
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