DIARI DI VIAGGIO
Le ceneri di Pirandello e il perduto Hotel de Temples: un'estate nel cuore di Agrigento
La Capitale della Cultura del 2025 accoglie i visitatori in una città, ricca di storia e di arte, ma non ancora pronta. Vi raccontiamo storie, aneddoti e suggestioni estive

Valle dei Templi di Agrigento
Agrigento è la Capitale della Cultura del 2025, ma non ho trovato una città pronta, piuttosto piena di lavori non ultimati con chiese e luoghi di interesse spesso chiusi.
Che sia ricca di arte e storia è innegabile e che non sia solo la "Valle dei Templi" è vero a patto però di renderla accessibile. Così, dopo un giro nella parte storica, tra cantieri e strade chiuse, senza trovare l’ombra di un parcheggio, mi dirigo con sollievo verso la casa di Pirandello.
Qui non ci sono turisti e il libro dei visitatori è poco autografato. Lo sforzo che è stato fatto per rendere la visita della casa museo multimediale, è particolare, ma sarà che entrare in una casa rurale di fine ‘700 dove Pirandello trascorse l’infanzia e parecchio tempo da adulto, e trovarsi circondata da immagini e suoni, mi lascia perplessa.
Preferisco la descrizione di Pirandello: “Io dunque son figlio del Caos e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco, denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti”.
A 5 km dalla città la casa è posta su un promontorio che si affaccia sulla spiaggia e sul mare del “Caos”. Dopo aver visitato i due piani, mi incammino su un sentiero di fronte la casa. In silenzio e solitudine salgo sulla collinetta circondata da ulivi dove un vento caldo sferza piante e me. Circa 15 minuti di cammino per arrivare ad un piazzale dove una volta si trovava un grande pino secolare, qui Pirandello amava meditare o intrattenersi in compagnia.
Il secolare albero nel 1997 è stato sradicato da una bufera, oggi resta solo un pezzo di tronco adagiato. Una grossa pietra rozza appena sbozzata ospita all’interno le ceneri del drammaturgo. Cammino intorno al cippo funerario, sedendomi poi sul tronco dove mi lascio avvolgere dal frinire assordante delle cicale e da una luce accecante.
Sento un senso di pace, ossimoro in una terra che è chiamata Caos. Rifletto e mi vengono in mente le parole di Andrea Camilleri che conobbe Pirandello. Il luogo non sarebbe confacente ma non posso fare a meno di sorridere, la storia di queste ceneri sembra essere un’invenzione letteraria.
Quando Pirandello morì fu trovato un foglietto con le sue ultime volontà, che iniziava con "Bruciatemi", desiderava che le sue ceneri fossero disperse nel “gran mare d’africa” quello sotto la sua casa, o poste in una grezza roccia sotto il Pino secolare. Non fu così, le ceneri andarono al cimitero di Roma.
Ed è qui che inizia il ricordo di Camilleri. Giovane universitario insieme ad altri colleghi chiese al Federale dell’epoca (siamo in pieno periodo fascista) di poter portare l’urna ad Agrigento, ma il Federale rispose che nulla era dovuto a un chiaro oppositore del regime.
Ci riprovarono nel 1945, questa la volta fu interpellato un "prefetto democratico". La risposta fu che nessuno favore era dovuto ad un fascista. Fu nel 1948 che con l’aiuto del Professore Ambrosini, le ceneri tornarono in Sicilia. Ma la novella non ha ancora fine.
Il vescovo della città, all’arrivò delle ceneri, nego la benedizione: a quei tempi la chiesa era contraria alla cremazione. Camilleri trovò una soluzione e chiese se le ceneri messe in una bara sarebbero potute sfilare ed essere benedette. Il Vescovo acconsentì e Camilleri corse da un'agenzia di pompe funebri chiedendo che gli fosse affittata una bara, la risposta fu ovvia" "non si affittano bare".
Alla fine però fu trovata una soluzione. Così Pirandello ebbe la benedizione e un corteo. Anni dopo le ceneri furono messe in un cilindro e tumulate nella pietra al Caos. Anche in questo caso vi fu un’appendice particolare che vi lascio scoprire dalle parole di Camilleri in un’intervista sul web.
Ritorno dunque verso la città. C’è un altro luogo che voglio vedere, questo sicuramente non meta di visite ed è il perduto Hotel de Temples voluto da Enrico Ragusa, imprenditore e naturista, colui che creò il Grand Hotel et des Palmes a Palermo. Oggi questo luogo è sede della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali.
La storia ha inizio quando a Palermo nel 1876 si diffuse la notizia del fallimento dell’Imperatore dello zolfo, Genuardi. In quello stesso periodo alcuni ospiti stranieri dell’Hotel chiesero a Ragusa di essere accompagnati ad Agrigento per andare a visitare i Templi. Attraverso questa visita Ragusa capì come fosse importante aprire un Grand Hotel di lusso, capace di ospitare una clientela di alto rango.
L’occasione fu proprio a seguito del fallimento Genuardi. Ragusa infatti comprò all’asta nel 1881 una casa di campagna appartenuta al magnate dello zolfo, in contrada Colleverde. L’Imprenditore alberghiero la ristrutturò completamente trasformando il terreno "con poco seminativo e pochi alberi in un parco di piante esotiche".
Il Grand Hotel Des Temples fu un luogo di fascino con un parco lussureggiante e con la vista del Templi sulla parte posteriore. L’albergo rimase aperto dal 1883 sino a metà del '900. Nel libro della pronipote di Ragusa, Fiory Gasparinetti, viene narrata la storia di questo luogo e dei "Templari" come furono chiamati gli illustri ospiti dell’Hotel.
Persino una novella di Pirandello vide come protagonista un’ospite del Des Temples. La storia è un tipico racconto pirandelliano.
Sono entrata in quello che era il parco esotico, è rimasto poco, chiaramente senza poter accedere all’edificio. È difficile oggi immaginarlo come sede di raffinatezza, eleganza e bellezza. Eppure con il libro in mano, percorro il giardino, saranno le storie, sarà la vicinanza dei Templi, ma per un attimo mi sembra di vedere uomini vestiti di bianco con paglietta e bastone, nobildonne con calzature comode, ombrellini e vestiti di mussola leggera, pronti a rendere omaggio all’Arte e alla Storia.
Fonti: Fiory Gasparinetti, "Grand Hotel Des Temples Girgenti, tra realtà e fantasia". 2025
Che sia ricca di arte e storia è innegabile e che non sia solo la "Valle dei Templi" è vero a patto però di renderla accessibile. Così, dopo un giro nella parte storica, tra cantieri e strade chiuse, senza trovare l’ombra di un parcheggio, mi dirigo con sollievo verso la casa di Pirandello.
Qui non ci sono turisti e il libro dei visitatori è poco autografato. Lo sforzo che è stato fatto per rendere la visita della casa museo multimediale, è particolare, ma sarà che entrare in una casa rurale di fine ‘700 dove Pirandello trascorse l’infanzia e parecchio tempo da adulto, e trovarsi circondata da immagini e suoni, mi lascia perplessa.
Preferisco la descrizione di Pirandello: “Io dunque son figlio del Caos e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco, denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti”.
A 5 km dalla città la casa è posta su un promontorio che si affaccia sulla spiaggia e sul mare del “Caos”. Dopo aver visitato i due piani, mi incammino su un sentiero di fronte la casa. In silenzio e solitudine salgo sulla collinetta circondata da ulivi dove un vento caldo sferza piante e me. Circa 15 minuti di cammino per arrivare ad un piazzale dove una volta si trovava un grande pino secolare, qui Pirandello amava meditare o intrattenersi in compagnia.
Il secolare albero nel 1997 è stato sradicato da una bufera, oggi resta solo un pezzo di tronco adagiato. Una grossa pietra rozza appena sbozzata ospita all’interno le ceneri del drammaturgo. Cammino intorno al cippo funerario, sedendomi poi sul tronco dove mi lascio avvolgere dal frinire assordante delle cicale e da una luce accecante.
Sento un senso di pace, ossimoro in una terra che è chiamata Caos. Rifletto e mi vengono in mente le parole di Andrea Camilleri che conobbe Pirandello. Il luogo non sarebbe confacente ma non posso fare a meno di sorridere, la storia di queste ceneri sembra essere un’invenzione letteraria.
Quando Pirandello morì fu trovato un foglietto con le sue ultime volontà, che iniziava con "Bruciatemi", desiderava che le sue ceneri fossero disperse nel “gran mare d’africa” quello sotto la sua casa, o poste in una grezza roccia sotto il Pino secolare. Non fu così, le ceneri andarono al cimitero di Roma.
Ed è qui che inizia il ricordo di Camilleri. Giovane universitario insieme ad altri colleghi chiese al Federale dell’epoca (siamo in pieno periodo fascista) di poter portare l’urna ad Agrigento, ma il Federale rispose che nulla era dovuto a un chiaro oppositore del regime.
Ci riprovarono nel 1945, questa la volta fu interpellato un "prefetto democratico". La risposta fu che nessuno favore era dovuto ad un fascista. Fu nel 1948 che con l’aiuto del Professore Ambrosini, le ceneri tornarono in Sicilia. Ma la novella non ha ancora fine.
Il vescovo della città, all’arrivò delle ceneri, nego la benedizione: a quei tempi la chiesa era contraria alla cremazione. Camilleri trovò una soluzione e chiese se le ceneri messe in una bara sarebbero potute sfilare ed essere benedette. Il Vescovo acconsentì e Camilleri corse da un'agenzia di pompe funebri chiedendo che gli fosse affittata una bara, la risposta fu ovvia" "non si affittano bare".
Alla fine però fu trovata una soluzione. Così Pirandello ebbe la benedizione e un corteo. Anni dopo le ceneri furono messe in un cilindro e tumulate nella pietra al Caos. Anche in questo caso vi fu un’appendice particolare che vi lascio scoprire dalle parole di Camilleri in un’intervista sul web.
Ritorno dunque verso la città. C’è un altro luogo che voglio vedere, questo sicuramente non meta di visite ed è il perduto Hotel de Temples voluto da Enrico Ragusa, imprenditore e naturista, colui che creò il Grand Hotel et des Palmes a Palermo. Oggi questo luogo è sede della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali.
La storia ha inizio quando a Palermo nel 1876 si diffuse la notizia del fallimento dell’Imperatore dello zolfo, Genuardi. In quello stesso periodo alcuni ospiti stranieri dell’Hotel chiesero a Ragusa di essere accompagnati ad Agrigento per andare a visitare i Templi. Attraverso questa visita Ragusa capì come fosse importante aprire un Grand Hotel di lusso, capace di ospitare una clientela di alto rango.
L’occasione fu proprio a seguito del fallimento Genuardi. Ragusa infatti comprò all’asta nel 1881 una casa di campagna appartenuta al magnate dello zolfo, in contrada Colleverde. L’Imprenditore alberghiero la ristrutturò completamente trasformando il terreno "con poco seminativo e pochi alberi in un parco di piante esotiche".
Il Grand Hotel Des Temples fu un luogo di fascino con un parco lussureggiante e con la vista del Templi sulla parte posteriore. L’albergo rimase aperto dal 1883 sino a metà del '900. Nel libro della pronipote di Ragusa, Fiory Gasparinetti, viene narrata la storia di questo luogo e dei "Templari" come furono chiamati gli illustri ospiti dell’Hotel.
Persino una novella di Pirandello vide come protagonista un’ospite del Des Temples. La storia è un tipico racconto pirandelliano.
Sono entrata in quello che era il parco esotico, è rimasto poco, chiaramente senza poter accedere all’edificio. È difficile oggi immaginarlo come sede di raffinatezza, eleganza e bellezza. Eppure con il libro in mano, percorro il giardino, saranno le storie, sarà la vicinanza dei Templi, ma per un attimo mi sembra di vedere uomini vestiti di bianco con paglietta e bastone, nobildonne con calzature comode, ombrellini e vestiti di mussola leggera, pronti a rendere omaggio all’Arte e alla Storia.
Fonti: Fiory Gasparinetti, "Grand Hotel Des Temples Girgenti, tra realtà e fantasia". 2025
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