STORIA E TRADIZIONI
Le mille sfumature di "ma un ti siddia?": in Sicilia anche una domanda è qualcosa di più
In siciliano "siddiarisi" non significa semplicemente scocciarsi. Da noi questa parola indica un vero e proprio stato d’animo, una contemplazione quasi filosofica
Ficarra e Picone in una scena tratta da "Nati Stanchi"
Le capacità sicule, soprattutto nel cercare di saltare le file, diventano leggendarie, da quello che ancora prima di scrivirisi nu pizzinu urla ai quattro venti di essere invalido ca 104 e che deve passare prima, fino a quello che telefona all’amico dietro le "quinte" e si fa chiamare a parte.
Fino al classico dei classici, "un sa pigghiasse a mali, a chiedere sulu un’informazione”, per poi, una volta giunto allo sportello, cominciare disbrigare una quantità indefinita di pratiche ognuna delle quali richiede la comilazione di carca 20 moduli complicatissimi.
Uno s’avivssi a pigghiari na questione al minuto, soprattutto quando ci sono quelli che ca malatrineria s’infilano.
Sì, perchè in Sicilia il siddiarisi non è semplicemente una scocciatura, mi siddia non è uguale a "mi secca". Siddiarisi, da noi, è un vero e proprio stato d’animo, una contemplazione filosofica, che può portarti a siddiariati pure della tua stessa siddiata. Il siciliano guarda il mondo dall’alto, con snobbistica visione, ritenendo tutte le camurrie della vita quitidiana cose effimere e superflue, ma che purtroppo devono essere fatte.
Dove altrove c’è semplicemente noia nel fare, o anche solo immaginare di dover fare, qualcosa di non gradito, da noi arriva una sorta di apatico nichilismo ci fa siddiari e, di conseguenza, autorizza a trovare tutti gli escanotage possibili, per scavalcarla.
E quando il siciliano chiede a qualcuno, «ma un ti siddia?», non sta facedo una domanda, ma un'affermazione, nel tentativo di far capire, all’altro, che sta avendo un atteggiamento talmente tanto molesto, fasidioso, irritante che è lecito chiedersi come mai un si siddia iddu stissu del suo modo di fare.
E se per caso la controparte non dovesse ancora cogliere, si può sempre rafforzare il concetto, «Mà cririri come un frate, ma vieru un ti siddia? Picchi a mia già m’abbuttò».
Andando a specificare che la siddiata procurata dal tizio che si sta siddiando, ni sta siddiando talmente tanto che tra poco n’abbuttamo.
Del resto il termine abbuttare pare derivare proprio dalla rottura del cerchio della botte che, non potendo più tenere in posizione le doghe, faceva scoppiare, "abbottare", la struttura.
Ca nni siddiamo talmente tanto da "abbottare" pure noi! I latini utilizzavano il termine asilum per indicare il tafano, fastidiosissimo insetto, il cui scopo esistenziale non è chiaro a parte il farinni siddiari, famoso per i suoi morsi particolarmente dolorosi e per l'insistenza nel tornare più volte a pizzicare lo stesso soggetto.
Nel tempo asilum divenne assillum, (da cui poi derivo il termine assillare in italiano), che nella nostra isola, forse per inflessioni di pronuncia derivanti dall’ influenza araba, divenne inassiddum, fino ad arrivare al siddiari ancora oggi particolarmente usato. Tuttavia, pare che pure i greci si siddiassero.
In effetti vi immaginate un allievo dell’accadema di Atene che doveva scegliere tra Socrate e passare la giornata a mare, quanto s'avia a siddiari?
Il verbo pare avere una derivazione morfologica dal termine volgare “adeo”, che origina da “hedys” che andrebbe a significare piacevole, dolce, gradevole, ma che con il suo alfa privativo assume il significato contrario.
E un siddiativi anche se su riscuirsi i cafè!
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