Lo schianto del bus nel maggio degli anni '90: lo (strano) incidente nel borgo in Sicilia
Alla fine di una discesa ripidissima un autobus letteralmente conficcato dentro una casa. La foto la troviamo su un gruppo pubblico di Facebook. Ve la raccontiamo

Un'immagine dell'autobus che si è schiantato al borgo Sant'Elia
Salgo sul mezzo e mi rendo conto che tutti i passeggeri hanno la faccia dell’ex sindaco Orlando, financo l’autista e il controllore che mi chiede il biglietto.
Guardo fuori per distrarmi e noto un manifesto pubblicitario dell’Università degli Studi di Palermo, in cui il Magnifico Rettore Lagalla con la manona protesa in avanti dà un cinque ad uno studente; è strano, ma anche loro hanno la faccia dell’ex sindaco Orlando. Ad una fermata sale un bel ragazzo di colore, neanche a dirlo ha la faccia dell’ex sindaco Orlando.
Improvvisamente l’autobus accelera, sfreccia nel traffico e imbocca una strada in discesa ripidissima, cominciando a premere sull’acceleratore. I passeggeri con la faccia dell’ex sindaco Orlando sono tutti terrorizzati. Sentiamo le sirene.
Un vigile con la faccia dell’ex sindaco Orlando ci accosta alzando la paletta, ma l’autista con una sterzata lo strattona e continua verso la sua folle corsa.
La strada diventa sempre più scoscesa, quasi in caduta libera; facciamo fatica a rimanere in piedi. Di fronte a noi si materializza un’abitazione, l’autobus gli punta contro, sembra non esserci più scampo per nessuno.
Una signora tira fuori un’immagine sacra con la faccia dell’ex sindaco Orlando e recita le sue ultime preghiere.
Poi mi sveglio…. dottore, che può essere? «Ma perché, al centro di Palermo non ci sono discese?» Il dottore aveva ragione, nel centro di Palermo non ci sono discese, perlomeno non così ripide. Ci penso, ed effettivamente tutta la vicenda ha inizio un mesetto prima. Sto prendendo un volo per Roma, dall’aeroporto Falcone Borsellino.
Salgo a bordo, distratto, e seduto in prima fila c’è proprio lui, l’ex sindaco Orlando, che saluto timidamente. Mi guardo intorno, questa volta è il solo ad avere la sua faccia. Vado a sedermi nel mio sfortunatissimo posto 17 B, sto in mezzo ad un francese ed un tedesco: sembra l’inizio di una barzelletta.
Non c’è motivo di intraprendere alcuna relazione umana, e per la serie “vogliamo l’Europa unita!” mi tuffo leopardianamente dentro lo schermo dello smartphone.
Scrollo compulsivamente per ammazzare l’attesa e non scrollarmi altro. Di punto in bianco una strana immagine sbiadita, di quelle scattate con le macchine fotografiche usa e getta, attira prepotentemente la mia attenzione. Un bellissimo borghetto marinaro che nasconde il pizzo di una piccola montagna.
Lo riconosco, è monte Catalfaro e il borgo in questione è Sant’Elia. Sullo sfondo, il mare blu: sembra un dipinto. Magnifico! Penso che Guttuso con questi panorami, alla fine, non doveva essere poi difficile voler giocare con i colori.
Guardo meglio: una discesa! È ripidissima! Che cosa?! Alla fine della strada ci sta un autobus letteralmente conficcato dentro una casa. La foto è stata postata su un gruppo pubblico di Facebook e comincio ad indagare per saperne di più. Siamo intorno ai primi anni ’90, forse '92 o '93. Altri sono convinti sia il '97. N è sicuro, quell’anno finalmente era morta la "soggera".
È una primavera, la maggior parte sono d’accordo sul fatto che sia stato maggio, un giorno qualunque, un giorno come tanti, in cui i pescatori stanchi, dopo aver raccolto le resti, attendendo che si faccia ora di pranzo, si una briscola all’ombra, su sedute improvvisate.
Come ogni giorno l’autobus torna dalla solita tratta.
Palermo, Bagheria, frazioni limitrofe, poi capolinea proprio a Sant’Elia. Il mezzo notoriamente parcheggia in uno spiazzo prima della discesa per evitare di sforzare troppo i motori.
Quando non fa il capolinea, nello stesso piazzo ci fa manovra per ripartire. C’è il sole, si sente l’odore della brezza marina, lo zio Saro si cazzia il compagno perché ancora mancano tre “vase” e non si può buttare il tre a bastoni ora, sparti pure briscola. Sembra un giorno normale, come tutti gli altri, ma in quel momento succede qualcosa.
L’autobus comincia precipitare per quella discesa senza controllo. Sono attimi, secondi. C’è chi dice che mentre l’autista faceva manovra si ruppe il cambio, c’è chi sostiene che l’autista semplicemente era stato "scordatizzo" dimenticando di mettere il freno a mano. Secondo alcuni, era dentro e vedendosi perso si lanciò dall’abitacolo.
Per altri, invece, il mezzo per grazia di Dio era vacante perché poteva fare una strage. Racconta il signor Pino che Saro posò un attimo le carte siciliane, indicò proprio l’autista ed esclamò: “’inchia ra niegghia!”. L’autobus, per un volta libero di scegliere da solo la sua tratta, andò a scontrarsi contro un’abitazione, conficcandosi dentro come fosse un mattoncino di Tetris.
In casa non c’era nessuno e questa fu la seconda grazia. Da quel momento in poi l’autobus cominciò pian piano a diventare attrazione di interesse, luogo di pellegrinaggio.
Complice la burocrazia nostrana e vari conflitti di interesse, rimase conficcato dentro la casa -c’è chi dice per mesi, chi per più di un anno, sia perché sarebbe stato pericoloso rimuoverlo, sia perché s’era aperta un contenzioso tra ditta dell’autobus e la famiglia che, giustamente, si era vista arrivare dentro un ospite un po’ troppo ingombrante.
Protagonisti sono ancora i ricordi della gente. Non c’era paesano che non gli tirava una foto, non c’era straniero che non faceva lo stesso. Quell’estate a dispetto dei tentativi dell’amministrazione comunale, l’autobus era stato l’unico che era riuscito ad incrementare il turismo locale.
E ancora, di giorno, al tramonto, gli sposini lo usavano come location per le fotografie, e i ragazzi, la notte, ci entravano dentro di nascosto come prova di coraggio.
Tutti, tutti almeno una volta hanno visto, fotografato o toccato quell’autobus, di cui, misteriosamente, oggi non si ricorda più nessuno. Un giorno, un giorno normale come tanti altri, fu rimosso nel silenzio più totale, indifferente proprio come era arrivato.
Oggi la casa è sana e ristrutturata. L’hostess dice di allacciare le cinture, è il momento di decollare. Pensando a questa storia già ho il magone solo al pensiero di partire. Voglio restare, voglio andare lì, a Sant’Elia, volgio mettermi in cima alla discesa, guardare la casa e riscostruire tutto nella mia mente come fosse un film, respirando quel mare blu.
Per un attimo mi viene l’impeto di andare dall’ex sindaco Orlando in prima fila e dirgli: «Scendiamo, Orlà. Non facciamo minchiate! Che ci andiamo a fare a Roma? È tanto bello qua! Scendiamo, andiamo a Sant’Elia assieme!».
È passato del tempo ed oggi me la sogno ancora questa cosa dell’aereo. Secondo voi che può essere?
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