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“A Roma con Bubù”: in fuga nelle notti della capitale

  • 24 ottobre 2005

Di Gian Carlo Fusco, nato a La Spezia nel 1915, risulta piuttosto complicato ricostruire la vita. Uomo dalla personalità istrionica, grande affabulatore, instancabile animatore di serate, nel raccontarsi, scrive Natalia Aspesi, giornalista di Repubblica e sua amica, «se la inventava giorno per giorno, sovrapponeva i fatti, li cancellava, li ricreava…le sue verità erano molteplici, e a tutti ne raccontava una diversa». L’amico Manlio Cancogni, suo scopritore, lo ha definito “Un grande Clown, un buffone d’alta classe”. Antifascista militante, stregato in adolescenza dalla Boxe( per cui ci rimise quasi tutti i denti), appassionato di ballo, armi e scrittura, è autore di romanzi, saggi e copioni per il cinema ed il teatro. Ha collaborato con vari giornali tra cui Il Mondo, L’Europeo, L’Espresso, Il Giorno. Continua la Aspesi:« Il giornalismo era un mestiere al di sotto del suo talento:…..la parola scritta gli stava stretta, …si struggeva dentro le regole piatte dell’articolo, nel terrore di essere un dilettante.» ed ancora « Il suo vero mezzo espressivo era la parola orale…».
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Certamente un personaggio non ordinario, sempre in fuga dalla noia, costantemente in cerca dell’avventura. Tra i vari aneddoti che si raccontano, l’episodio della ditta Nardini che inviava ogni settimana un carico di grappa indirizzato al Bar Fusco, essendo improbabile immaginare che una persona potesse bere tanto: era un uomo da trenta bicchieri al giorno! “ A Roma con Bubù” (Sellerio Editore Palermo, pp.210, Euro 10.00) narra una storia dichiaratamente autobiografica. Siamo alla fine degli anni cinquanta, è la corsa al Grande Boom economico. Due uomini: un italiano, Janò (ovvero l’autore stesso autodefinitosi con un vezzeggiativo francese), ed un marsigliese trapiantato a Milano, di nome Bubù, annoiati dalla tiepida vita notturna della capitale del Nord, preoccupati da precipitosi eventi, decidono per il trasferimento verso la Città di Roma. Le notti brave nella Dolce Vita (anche se più nell’immaginario), la Hollywood italiana, sono in grado di offrirsi generosamente ai più nottambuli. Nello svolgimento del racconto ci viene presentato un panorama di personaggi che a volte sfiorano le caricature: da Gino il Meccanico, figura equivoca della mala milanese, a Lilly Cassandrà, ex soubrette della rivista Paris en manège, caduta in disgrazia a causa della cocaina, Beppe De Leonardis, improbabile talent-scout, il Conte Francesco Durant del Frantore, loro salvatore nelle prime notti romane, Kasbà, la cagnetta dal collare diamantato ed altri ancora. Ed in un susseguirsi di episodi, dall’ incontro poco amichevole di Bubù con un bersaglierie in una sfavillante via Veneto , alla bella storia d’amore dello stesso con Justine, tutto viene perfettamente ricostruito e concatenato dall’abile penna dell’autore. Da citare le definizioni di alcune teorie quali quella dei creditori e debitori, secondo cui «Metterà nel carniere la volpe quel cacciatore che andrà a caccia della volpe pensando come la volpe. La volpe che riuscirà a pensare come il cacciatore, si salverà dal carniere».

Mirabile l’introduzione del Commissario Cardellicchio, «Un meridionale pieno di noia, ……Ascoltò le parti….Decise di non passare a verbale. Chiuse la faccenda con una paternale di circostanza». Irriverente nei confronti della vita quanto il più noto Charles Bukowski (li separano circa dieci anni), affascina nell’autore la capacità di mescolare con fervida immaginazione elementi quali gente, ambienti, caratteri, mantenendo allo stesso tempo la semplicità, l’essere diretti, la malinconia, il non prendersi mai troppo sul serio. Janò e Bubù, lo scrittore e l’amico cresciuto con le dure regole del milieu marsigliese, due uomini la cui amicizia è complicità, complementarietà, simbiosi perfetta:
«P.S. Dà retta a uno che non è cascato con l’ultima pioggia! Pianta tutto e vieni su!».
«Vengo Bubù!».
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