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Addio a una Stella del cinema: si spegne settantuno anni l'attrice Mariangela Melato

Si spegne all'età di settantuno anni Mariangela Melato, tra le maggiori attrici di cinema e teatro italiano. Fece della recitazione il suo personale senso della vita

  • 14 gennaio 2013

Mariangela Melato

Dicono che le luci più luminose del firmamento siano il sole e la luna, oltre alle altre stelle. Insieme ad un riverbero iridescente che permette di distinguere il giorno dalla notte. E chissà cosa succede quando un’anima trapassa a miglior vita.

A noi piace immaginare che chi lascia la sua vita terrena, si spoglia di materia e di vizi, ma non della sua essenza. Un’essenza che si veste di luce e racchiude in sé un piccolo bagliore visibile ad occhio nudo. Come una piccola scia luminosa nella volta celeste. Si spegne a settantuno anni la regina del cinema italiano Mariangela Melato.

Spira l’ultimo anelito di vita in un letto d’ospedale per malati terminali al Centro Antea, all’interno del Complesso Santa Maria della Pietà a Roma. Era malata da molti anni ormai di un male incurabile, di un cancro al pancreas che l’ha lentamente esaurita. Sempre al suo fianco Anna, cantautrice ma prima di tutto sorella, che nella mattinata dell’11 gennaio ne dà il triste annuncio.

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E chissà se oltre al dolore per la scomparsa, in lei, come in parenti e amici, riemerge un senso di profonda tristezza magari solo sopito. Quella tristezza che la Melato non nascondeva affatto, di quell’infanzia inconsueta scandita dall'infelicità. Un'infelicità che nasce a causa di una malattia che la segnò tanto da scolpire la sua sensibilità, quella di quel “monolite marmoreo” che fece del cinema e del teatro il suo personale senso della vita.

E spesso anche se non è possibile scappare da un universo ingiusto, si può lo stesso percorrere una scorciatoia. Quella piccola strada parallela che ti conduce alla tua personale fortezza, quella roccaforte di sentimenti ed emozioni che fa da scudo austero alla tua unica e grande passione, la recitazione.

D’altronde in molti da oggi asciugano lacrime dal proprio volto, quelle lacrime che si riversano irrefrenabili nel ricordare una grande attrice, capace di indossare molte maschere ed essere strumento eclettico di narrazione e poesia. Gabriele Lavia, nel suo personale ricordo, fa riferimento proprio a quel pianeta inospitale per una come lei. «Era una persona meravigliosa, era triste, angosciata, sempre arrabbiata con il mondo, perché una persona intelligente non può essere felice in questo mondo».

Attrice orgogliosa e indipendente, con un sogno nel cassetto chiamato teatro. Da giovanissima, infatti, pur di intraprendere questa strada studiò pittura all’Accademia di Brera, anche con buoni risultati, dipingendo manifesti e allestendo le vetrine de La Rinascente.

Gruzzoletto da parte per quel piccolo grande desiderio e finalmente l'iscrizione ai corsi di recitazione di Esperia Sperani. Non ancora ventenne viene notata, forse per il suo forte carisma sul palcoscenico, dalla compagnia di Fantasio Piccoli. Da lì, il successo definitivo consacrato insieme a Luca Ronconi con “Orlando fuorioso” a teatro.

Cinema e teatro diventano il suo pane quotidiano dagli anni Sessanta. Inizia così un tourbillon poetico e artistico, per un mosaico variopinto di registi, musicisti, attori e operatori dello spettacolo con cui ha collaborato. Da Giuseppe Bertolucci a Mario Monicelli, da Pupi Avati a Lina Wertmüller. C’è chi con solennità afferma di aver scoperto la differenza tra un attore qualsiasi e un vero attore, dopo aver lavorato con lei.

D’altronde molte delle sue interpretazioni restano tra le più apprezzate nel panorama artistico italiano. Come quella nel film del ’74 “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, pellicola in cui interpreta la parte di una donna d’affari milanese che perde la testa per un mozzo siciliano interpretato da uno straordinario Giancarlo Giannini.

Ma non solo cinema. La sua tempra l’ha sempre spinta verso la maestosità del teatro. Quella grande arena fatta di suggestione, tra versi e lirica, che le ha dato la possibilità di dare l’eternità a personaggi di grande impegno. Come quelli delle tragedie greche, Medea o Fedra di Euripide ad esempio, due donne mitologiche che hanno portato la Melato a recitare tra le antiche rovine del Teatro Greco di Siracusa.

Più e più volte, perché tornare in Sicilia per lei, in quel teatro fatto di storia e memoria, era un incanto fascinoso e magnetico. Ed era capace di svestire quei panni drammatici in un battibaleno, per indossare quelli più leggeri delle commedie. Famosa la sua interpretazione in “Vestire gli ingnudi” di Luigi Pirandello.

Una vita piena come una spugna che a spremerla neppure la si riuscirebbe a contenere. Un’unica macchia forse. Vivere questo lavoro come una missione. Una missione d’autore che l’ha portata a sacrificare il suo grande amore per Renzo Arbore per il suo grande sogno nel cassetto.

Un sogno che racchiude già dentro le scintille del cuore. Avrebbe voluto adottare un bambino, credeva che tra il mettere al mondo una persona e aiutarne una che c’è già, ci fosse una differenza abissale e ripeteva sempre di credersi materna anche senza essere madre. Oggi restano pellicole e ricordi, fotografie e desideri nascosti dietro ad uno sguardo austero. Resta quella luce nel firmamento. Chissà perché allora ci ostiniamo a dire “si è spenta”. Arrivederci signora Melato.

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