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“Broken flowers”, i silenzi di un dongiovanni

  • 19 dicembre 2005

Broken Flowers
Usa, 2005
Di Jim Jarmusch
Con Bill Murray, Sharon Stone, Jessica Lange, Frances Conroy, Tilda Swinton, Julie Delpy, Jeffrey Wright

Non possiamo che dare il bentornato a Jim Jarmusch! A due anni di distanza da “Coffe & Cigarettes” e a sei da “Ghost dog”, il più indipendente dei registi americani, colui che negli anni ’80 ha deliziato critici e cinefili con una serie di road movie disincantati, riuscendo a distillare con grazia, humour e malinconia, è tornato nella sua forma migliore con “Broken flowers”, film che, presentato a Cannes, si è portato a casa il Gran Premio della Giuria. L’attore protagonista di questo nuovo gioiello è un magnifico Bill Murray, attore singolare ed incisivo a cui negli ultimi tempi hanno cucito addosso dei personaggi originali e sognanti che lui ha interpretato con un'ironia degna dei grandi “brillanti” di una volta. E non solo nel giustamente celebrato film di Sofia Coppola, “Lost in Translation”, che per poco non gli ha fatto vincere il premio Oscar, ma pure nel sottovalutato (anche dal pubblico) “Le avventure acquatiche di Steve Zissou”, dove ha impersonato un documentarista e oceanografo in una storia di conflitti edipici. L’Oscar, si sa, non ama i comici: se non l’ha conquistato il Peter Sellers del capolavoro “Oltre il giardino”, speriamo che se lo possa accaparrare Bill Murray, anche a nome di tutti quei grandi della risata (Chaplin in testa!), destinati al solito tributo semi-postumo alla carriera. Tornando all’accoppiata che ci riguarda, Murray aveva già interpretato uno degli irresistibili episodi di “Coffee & Cigarettes” di Jarmusch e adesso, in “Broken flowers”, fa il ruolo di Don Johnston (quasi omonimo del celebre divo), un maturo dongiovanni arrivato alla pensione. La sua vita è ormai noiosa: si addormenta spesso sul divano davanti ad una televisione accesa che trasmette “Le ultime avventure di Don Giovanni”, un cult diretto da Alexander Korda nel 1934 con Douglas Fairbanks nel ruolo principale.

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A spezzare la monotonia provvede l’arrivo di una lettera anonima su carta rosa che svela la possibilità che l’uomo sia diventato padre di un ragazzo di diciannove anni mercè una delle tanti amanti di gioventù. Egli è spinto al viaggio dal vicino di casa, Winston (il simpatico Jeffrey Wright), un amico di vecchia data del protagonista e giallista per hobby, che gli pianifica tutto con precisione matematica. Dopo l’abbandono della sua ultima conquista, Sherry (Julie Delpy), Don inizia la sua ricerca con scarsa convinzione. E prova a bussare alla porta di quattro ex spasimanti di vent’anni prima, presentandosi ogni volta con un patetico mazzo di fiori rosa. Entrano così in scena, Laura (Sharon Stone), Dora (la Frances Conroy della serie di telefilm “Six feet under”), Carmen (Jessica Lange) e Penny (Tilda Swinton). Ognuna di queste donne si porta dentro dei vuoti affettivi: Laura ha una figlia quindicenne, Lolita (la promettente Alexis Dzien) di nome e di fatto, e lavora organizzando il guardaroba degli altri; Dora ha un marito che la soffoca di attenzioni ma non riesce ad esorcizzare la solitudine; Carmen è un ex avvocato che si è inventato il lavoro di “comunicatrice con gli animali” scrivendo libri di successo, un modo bizzarro per cercare di colmare il vuoto della sua esistenza; Penny è una sbandata in lotta col mondo che arriva a far picchiare Don da un poco di buono. Sullo sfondo del viaggio del malinconico dongiovanni, al giro di volta della propria vita, c’è l’America amara che ricorda quella del cinema anni Settanta. Don è un classico antieroe del quotidiano esploso: le sue donne lo trattano come un estraneo, ma in ognuna di loro alberga un sentimento sincero, probabilmente mai sopito. Solamente una di esse, Laura, lo accoglierà tra le sue braccia.

Se Wenders con l’ultimo, bellissimo “Non bussare alla mia porta” (anch’esso proiettato a Cannes), indagava sull’antico mito della paternità e sul tramonto del cinema western, Jarmusch, in “Broken Flowers”, racconta con disincanto dell’afasia dei sentimenti che sembra travolgere il mondo contemporaneo, unendo questo tema a quelli eterni come lo scandalo della maturità e l’amaro calice della memoria che è difficile da bere fino all’ultima goccia. Lungo il tragitto, che somiglia ad una via crucis “rosa”, Don recupera una certa consapevolezza delle proprie mancanze (l’assenza di affetti e l’incessante insorgere di domande sul significato della propria esistenza). Seguendo il suo protagonista con affetto e disincanto, da autore sicuro e ormai maturo, Jarmusch dirige uno dei suoi film migliori dai tempi di “Permanent Vacation” e “Stranger than Paradise”. La sua è commedia esistenzialista, aspra ed essenziale, che riesce a colpire lo spettatore abituato alla melassa andante. E’ uno sguardo sul mondo che sta marcendo, sulla spietata vertigine del tempo che implacabilmente vanifica tutti gli sforzi di far quadrare il cerchio delle nostre povere esistenze. Ma è soprattutto uno di quei film che liberano la testa, l’opera di un cineasta puro non a caso dedicato alla memoria di Jean Eustache, maestro indiscusso dei filmakers indipendenti. “Broken flowers” ci rivela inoltre il talento di Bill Murray, capace come pochi di giocare con lo sguardo i più necessari silenzi di un cinema che sa alludere più che eludere.

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