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Chiude la Società di Storia Patria: "Zichichi dov'è?"

La Società di Storia Patria ed il Museo del Risorgimento sono obbligati a cessare le attività. Dal 2012 la società non riceve finanziamenti dalla Regione

  • 18 gennaio 2013

«Abbiamo tentato di sollevare il problema ma si è alzato intorno a noi un muro di sordità. La Provincia ci ha concesso un’apertura ma non abbiamo nessuna notizia dalla Regione. Nemmeno una telefonata, una lettera, una qualsiasi altra comunicazione». Pasquale Hamel, direttore del Museo del Risorgimento, parla con voce amara. Non ci sono alternative. La Società di Storia Patria ed il Museo del Risorgimento sono obbligati a cessare le attività.

Da un intero anno la società non riceve finanziamenti dalla Regione Siciliana e nemmeno la nuova Amministrazione si è interessata al problema. Ma dopotutto il contesto è quello di un’isola dove chiudono i battenti realtà come la Fondazione Orestiadi, il museo delle Trame Mediterranee, mentre è a rischio il museo Mandralisca. Niente di nuovo dunque, eppure prenderne atto è imbarazzante.

«Mentre i musei chiudono, dov'è Zichichi? – accusa Gianfranco Zanna, direttore regionale di Legambiente Sicilia, che continua – Mentre assistiamo a questo disastro, l'assessore regionale dei Beni culturali non è qui, sul campo. Magari sarà a Ginevra, come ha sempre ribadito, ma da lì, come avevamo, purtroppo, previsto, non può e non fa nulla. D'altronde, a quasi due mesi dalla sua nomina, il professor Zichichi è andato una sola volta all'assessorato di via Croci. Tutto questo è ormai diventato intollerabile».

Nemmeno Hamel, neo direttore del Museo del Risorgimento transige sulla retta dell’Assessore alla cultura palermitano: «Zichichi è come un’Araba fenice. Che ci sia ciascuno lo dice ma dove sia nessuno lo sa. Ma il silenzio che noi denunciamo risale già alla precedente amministrazione e sappiamo che in Sicilia non ci sono mecenati che possano affrontare la responsabilità di tutelare un Museo».

La contribuzione regionale costituisce il 70% circa delle entrate della Società, la rimanente parte è costituita dai contributi degli stessi soci e del Ministero dei beni culturali, che eroga 7 mila euro ogni anno. Cifre ovviamente irrisorie. A chiudere non è semplicemente la validissima realtà espositiva, meta di visite continue da parte delle scuole. «A chiudere è soprattutto la storia della nostra terra – continua Hamel – Come si fa ad investire sulla cultura siciliana per un prossimo futuro?»

Nonostante la società si sia ritrovata in mancanza dei finanziamenti del 2012, non ha mai smesso di garantire i propri servizi: la biblioteca che conta quasi centoventimila volumi dal XVI al XIX Secolo, periodici e fondi archivistici è sempre stata frequentatissima da studenti e ricercatori e studiosi. E i dipendenti, tutti licenziati, sono tra i più rari esempi di dedizione e professionalità: specialisti che svolgono quel mestiere con una competenza invidiabile, da più di 25 anni. Gente che, licenziata in tronco a questa età, non potrà mai “reciclarsi” in altre realtà.

Nessuno sa che fine faranno i beni del Museo dedicato alla storia risorgimentale siciliana: abiti d’epoca, monili e carteggi da Garibaldi a Rosolino Pilo, la collezione del Grand tour, oltre a tutto quello che è stato raccolto dai viaggiatori in Sicilia dal Settecento al Novecento. Un ulteriore affondo per la struttura arriva da una consapevolezza: in un ambiente dove la parola spreco è all’ordine del giorno, c’è sempre stata un’incredibile parsimonia nell’amministrazione del denaro da parte della società. Perfino il restauro, completato nel 2010, è stato autofinanziato grazie ad un rigoroso senso del risparmio compiuto negli anni. Qualità indubbiamente introvabile altrove.

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