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Cuore sacro: come non raccontare la bontà

  • 28 febbraio 2005

Cuore sacro
Italia 2005
Di Ferzan Ozpetek
Con Barbora Bobulova, Andrea Di Stefano, Lisa Gastoni, Massimo Poggio, Erica Blanc, Camille Dugay Comencini

La semplicità, modalità (preziosa e rara) con la quale i grandi (soltanto loro, ahimé) sanno trattare l’esistenza, spesso per molti resta una meta assai difficile da raggiungere. La banalità, invece, è alla portata di tutti, e soprattutto di quelli che, volendo atteggiarsi oltre il dovuto, sviliscono di ogni contenuto il frutto del loro ingegno (o presunto tale), sia esso una pietanza, un elegante mise o un film, come in questo caso. Stiamo infatti parlando dell’ultimo lavoro del regista Ozpetek “Cuore sacro”, trionfale celebrazione della banalità. Tutto è brutto e banale: dai dialoghi, al profilo dei personaggi, alla scelta (pessima oltre ogni dire in certi momenti, troppo invasiva in altri) delle musiche, alla storia in sé. Non basta trattare un tema alto (qui è la bontà nella sua accezione più profonda, il totale altruismo), occorre sapere come e cosa fare non sprecando la resa delle ottime attrici (cast in prevalenza femminile, dall’ennesima figlia d’arte Camille Dugay Comencini, giovanissima ma con al suo attivo un paio di film, alle mature Lisa Gastoni e Erica Blanc, senza dimenticare la brava Elisabetta Pozzi presa in prestito dal teatro, e la bella e dolce protagonista, Barbara Bobulova).

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E se in altre pellicole Ozpetek non convinceva verso la fine (con conclusioni affrettate e banali appunto, dopo un valido primo tempo de “Le fate ignoranti”, ovvero sul finire de “La finestra di fronte”), qui delude per tutto il film (eppure è lo stesso regista di quel delicato “Il bagno turco”, sua opera prima peraltro). Irene, una giovane donna manager che gestisce con successo il patrimonio di famiglia ereditato dal padre, causa involontariamente la morte di una ragazzina eccentrica, Benny, ladra sì, ma a fin di bene. Attraverso la ragazzina la donna conosce il mondo dei poveri, gli ultimi della società, una realtà per lei del tutto sconosciuta fino a quel momento. La disgrazia poi la conduce lungo un percorso di grande generosità che rasenta la follia e verso il quale sembra quasi lei sia predestinata. Il racconto non riesce a volare alto, nonostante il tema trattato (e di moda di questi tempi, ci sembra doveroso notarlo), ma anzi rimane molto raso terra, avvilito da tante brutture, non ultime (e in aggiunta a quanto già detto) quelle delle tecniche di ripresa (inutili i troppi primi piani). E anche le riflessioni sulla sofferenza dietro l’angolo di casa, a due passi dalle nostre sicurezze (apparenti), non riescono ad ottenere la considerazione che meriterebbero. Anche perchè, diciamolo, non occorre essere straricchi per aiutare chi veramente non ha nulla, basta solo avere il coraggio di farlo. Insomma un gran brutto film.

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