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I baffi della follia

  • 10 luglio 2006

L’AMORE SOSPETTO (La Moustache)
Francia, 2005
Di: Emmanuel Carrère
Con: Vincent Lindon, Emmanuelle Devos, Mathieu Amalric, Hippolyte Girardot, Cylia Malki, Macha Polirkapova, Fantine Camus

Siamo nell’epoca della vertigine, dove è facile venire travolti dai ritmi forsennati di una quotidianità regolata (o sarebbe meglio dire: sregolata) dalle leggi del consumo e dall’ansia indotta da un sistema globalizzato e teleguidato. Un tempo si chiamava alienazione, ma oggi questo è un termine passato di moda. Eppure basta una piccola metafora, come quella recuperata da “L’amore sospetto” per ricondurci ad uno dei temi cari ad una certa letteratura fantasy degli anni settanta, la letteratura “dell’allarme”.

Così vediamo, nella prima sequenza di questo film, il protagonista Marc (un magistrale Vincent Lindon) intento a tagliarsi i baffi portati da una decina d’anni: un gesto apparentemente innocente, un tentativo di rinnovare il proprio look, anche di ringiovanire, perché no. Forse, ripulendosi il viso, Marc tenta di dare uno scossone al proprio ménage incastrato ma la moglie Agnès (interpretata da Emmanuelle Devos, vista di recente nel sorprendente “I re e la regina”) sembra non accorgersi del cambiamento. Nemmeno gli amici mostrano qualche reazione e l’uomo prima pensa ad uno scherzo, poi ad un complotto fino a quando il turbamento si trasforma in un’angoscia sempre più patologica e la nevrosi rischia di divenire follia. Ecco come un semplice taglio di baffi può provocare un cambio d’identità, una fatale scissione della personalità, ai limiti della schizofrenia.

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Ma “L’amore sospetto” (vincitore l’anno scorso a Cannes nella sezione “Quinzaine des Réalisateurs) con la sua trama che richiama alla mente certi episodi del televisivo “Ai confini della realtà” è qualcosa di più che un ozioso film estivo (anzi, è un vero peccato averlo fatto uscire a stagione ormai quasi conclusa). Il regista è lo scrittore Emmanuel Carrére, autore della sceneggiatura e del romanzo da cui è tratta (“La Moustache”, ovvero “I baffi”), intenzionato a restituirci il suo esemplare apologo immergendolo in una dimensione realistica per accrescerne l’effetto straniante.

In Francia esiste una tradizione di scrittori passati efficacemente dietro la macchina da presa, Alain Robbe-Grillet e (soprattutto) Marguerite Duras sono due nobili esempi: e Carrére non è da meno, regalandoci un film singolare e spiazzante, scritto e diretto con intelligente disinvoltura. L’atmosfera rimanda a quella delle labirintiche opere di David Lynch, a quell’universo parallelo assai somigliante al nostro dove il sogno si mescola con la realtà, dove un incidente accaduto sulla Mullholland Drive non è detto che sia davvero accaduto e dove la vita può divenire un complicato gioco di simulazioni.

Il titolo italiano, “L’amore sospetto”, non rende giustizia al film che non è soltanto la storia di un amore che finisce. La crisi matrimoniale che sconvolge la vita dei due protagonisti (e che soprattutto conduce la moglie Agnès sull’orlo del delirio nervoso) non è che un pretesto per raccontare la storia di una fuga dalla realtà, quella di Marc che si rifugia ad Hong Kong per cercare di rimettere insieme i pezzi sparsi della propria identità. A Carrére piace raccontare principalmente l’incubo della quotidianità, la spiazzante angoscia di cui tutti possiamo essere preda quando l’ordinario si trasforma in straordinario (come accade nel suo recente romanzo, “L’avversario”, tradotto per il grande schermo da Nicole Garcia, ispirato alla vera storia di un uomo che si libera della sua famiglia, dopo aver fatto credere per anni di possedere una laurea in medicina mai ottenuta).

Il regista segue l’evoluzione del suo protagonista (a cui Lindon regala la stessa svagata ironia di uomo travolto da un insolito destino, già recitata nel ruolo dell’avvocato de “La crisi!”, commedia di successo firmata da Coline Serreau) conferendo al suo film un certo spessore umoristico e surreale che recupera atmosfere degne di Ionesco e di Topor scrittore. La scena del bar, quando gli amici e i colleghi di Marc vedono sul suo volto i baffi che non ci sono più ricordano il “complotto” di cui è vittima il protagonista de “L’inquilino del terzo piano” (che Polanski trasse proprio da un romanzo di Topor), spinto ad assumere una personalità non sua.

A Marc accade addirittura di perdere le tracce del proprio passato (le foto che lo ritraggono coi baffi in un trascorso viaggio a Bali improvvisamente spariscono) mentre la moglie perde da un giorno all’altro il vizio del fumo. Indizi, trappole, depistaggi narrativi servono a mettere in discussione l’esistente, a proporci l’altro reale di una vita sconvolta. Carrére mostra di credere alla forza ammonitrice della metafora ma non calca mai la mano, lasciando spazio all’ambiguo dipanarsi di una storia che lo spettatore può liberamente interpretare. Attraverso gli evocativi contrappunti della straordinaria colonna sonora di Philip Glass, “L’amore sospetto” ci appare come un riuscito noir esistenziale alla francese, privo di quelle sottolineature enfatiche a cui certo cinema all’italiana ci ha abituati. La vanità individuale si trasforma nella vanità del mondo: un gesto innocente svela l’assurdo quotidiano in cui tutti siamo imprigionati, dove anche l’azione innocente di un semplice taglio di baffi può avere un effetto da cul de sac, la perdita del nostro centro smarrito nel cuore di quel labirinto che chiamiamo realtà.

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