CINEMA E TV
Il coraggio di “The Clan”
The Clan
Italia 2005
Di Christian De Sica
Con Christian De Sica, Paolo Conticini, Sebastian Torchia
Dare addosso all’ultima fatica di Christian De Sica sarebbe troppo facile e anche ingiusto, come sparare sulla Croce rossa. Accanimento senza frutto. E soprattutto senza gusto. Allora, perché non smetterla per una volta di fare i soliti snob con la puzza sotto il naso e di accantonare tali operazioni con aria da sufficienza? “The Clan” è un film coraggioso, e per tanti motivi. Chi avrebbe oggi il coraggio di fare un film così? Di rilanciare un genere ormai morto e sepolto come la commedia sofisticata e musicale anni ’50? “The Clan” non è come “Merry Christmas” o “Le Barzellette”, deplorevoli operazioni di marketing costruite a tavolino - puntando solo su grandi star (televisive) e sventolone da calendario - per intascare i soldi del biglietto quell’unica volta dell’anno in cui gli italiani vanno al cinema. Non c’è nulla di costruito, nulla di pianificato, quasi tutto è lasciato all’improvvisazione in questo instant movie girato in tre mesi tra la vera Las Vegas e la Bulgaria. Non si sfrutta nessuna moda del momento (a parte la recente rinascita del sinatrismo, capitanato da Micheal Bublè & seguito). Piuttosto l’immaginario che alimenta la pellicola appartiene a un’America da vecchia cartolina sbiadita, un’America da Nando Moriconi, tutta Las Vegas, Highways, Harley Davidson, teppisti-centauri stile “Il selvaggio”, emigrati dall’accento siculo in cerca di fortuna.
Non sfrutta nessun grande nome (Max Tortora evidentemente non conta), ma ha il coraggio di affidarsi a esordienti poco avvezzi alla macchina da presa (cosa che si nota moltissimo). Per tutto questo “The Clan” è un film scritto e diretto col cuore, è una creatura di De Sica, il parto delle passioni e aspirazioni di una vita. È opera scritta più per ambizioni autoriali che per soddisfare il pubblico. Difatti non è pensato per un target definito, è poco etichettabile, come un “panettone natalizio” uscito a pasqua, un qualcosa che non è né commedia raffinata e intellettuale, né comico trash-cabarettistico. E alla fine poco importa se la creatura è riuscita male, se le parti da commedia sono prive di una vera sceneggiatura e per fare ridere si aggrappano solo a battutacce “de borgata”, se le parti da musical sono sgraziate e scontatissime nella scelta dei brani - oltre ovviamente a Frank Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis jr, tutto il repertorio tipico di “un italiano in America”, da “O Sole mio” a “Luna mezz’o mare” - perché, in fondo, ogni scarrafone è bello a mamma soia.
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