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Il "falso magro", ovvero quando il nome inganna

Figlia del consumismo globalizzante, ho sofferto e porto le conseguenze della sindrome da assenza di merendine: a ricreazione avevo il panino con la marmellata o con il prosciutto, mentre i miei compagnucci aprivano pacchettini con profumati calzoni, rollò, panini con panelle, pizzette, brioss, si riunivano mangiando nutella... Ho sofferto la sindrome da monoporzione serale, quella da assenza di mamma in cucina.

Sentivo gli altri dire “No, oggi resto a casa perché la mia mamma ha preparato la zuppa di pesce”, o il couscous con carne o chissà quale prelibatezza. A casa mia l'unico pasto, che si potesse definire tale, era il pranzo della domenica, unico giorno in cui la mia mamma poteva occuparsi di queste cose voluttuose e forse sconcie, unico momento in cui tutti riversavamo speranze, aspettative e richieste. Purtroppo dovevamo metterci a turno, capitava che il desiderio fosse esaudito dopo tempo, e quindi vivevamo con l'incertezza per la reperibilità degli ingredienti.

La cosa però che ci lasciava con il fiato sospeso era la riuscita del piatto. Un terno al lotto! Non che venisse cattivo, ma era sempre diverso. Capitava spesso, per la verità capita ancora, che la cosa tanto apprezzata avesse un altro sapore, l'agrodolce fosse più aggressivo o il sugo meno piccante o meno speziato. Facevamo i fioretti perché la cosa si ripetesse identica a se stessa. Senza contare che spesso le ricette si perdevano tra i fornelli, essendo il risultato della somma dei resti, elementi estremamente variabili. Un'operazione matematica basata sul caso, che sfugge a qualsiasi regola scientifica. E poi ci si chiede l’origine dell’anomia!

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Un piatto gradito da tutti, di sicura riuscita, era l'arrotolato di vitello, una delle poche ricette standardizzate nella memoria materna. Quello manteneva la propria identità. Nato nelle cucine baronali, da ascendenze francesi, venne tradotto e stravolto dalle nonne, attraverso i racconti delle nipoti cameriere, anello di congiunzione sociale fra nobili e plebei. Era una fetta di carne ripiena, in origine, di magro, di erbe, fourrè de magre, che tradotto diventò falso magro. Le nonne si attivarono per renderlo più ricco possibile, ci misero tutto! È in corso una diatriba fra chi sostiene la tesi esposta e chi riferisce il nome al pezzo di carne utilizzato. In ogni caso s’intende una grossa fetta di carne, in genere si usa il petto, che viene aperta, battuta e farcita.

L'imbottitura varia: a Palermo è composta da pasta di salsiccia, tritato, caciocavallo a pezzetti, salame, uova sode, sale, pepe. Di magro non aveva nulla. A Catania si aggiungono piselli, carote, lardo salato, fette di pecorino, scalognetto e per equilibrare il tutto abbondante prezzemolo. Ad Agrigento la ricetta è più leggera: il braciolone è riempito di un trito di pasta di salsiccia, uova sode, provola, scalogno e prezzemolo, mentre a Vittoria si prepara ancora uno dei più saporiti falsimagri condito con prosciutto, pancetta, formaggio molle, uova, aglio e prezzemolo, poi cotto nella salsa di pomodoro, non nell'estratto come nelle altre città.

La chiusura presenta non poche difficoltà. Bisogna essere accorti nell'avvolgerlo con lo spago. Deve rimanere ben chiuso per non perdere tutto il condimentodurante la cottura. Per prima cosa si deve rosolarlo nell'olio, facendo evaporare due bicchieri di vino vecchio. Una volta formata la crosticina si toglie il braciolone, si aggiunge un po' d'acqua al tegame e si soffriggono aglio e cipolla, si sciolgono 2 cucchiai di strattu in 2 litri d'acqua e si porta a ebollizione. Si rimette la carne e si lascia cuocere a fuoco basso, finché il sugo non diventi cremoso. Fatto ciò si toglie di nuovo la carne e si lascia raffreddare.

Si elimina lo spago e si taglia. Il coltello deve essere ben affilato per non rompere le fette. Il contorno ideale è quello di verdure (carote, patate e piselli) stufate a parte con aglio, cipolla e una punta di estratto, per riprendere il sapore della carne. Con il sugo potete condire i busiati o i celentani, ottimi per trattenere il condimento. Con un'unica ricetta risolvete un pasto. Mi raccomando però se avete figli, scrivete le cose che cucinate, il procedimento, le quantità, garantirete loro l'equilibrio e la salute psicologici e sarete premiati dallo Stato per il contributo sociale dato.

L'Abbinamento

La nostra opulenta preparazione fa arrossire il palato di noi appassionati e ci pone dinanzi ad un cruciale dilemma: riusciremo a sopportare i suoi meravigliosi odori ed il suo gusto ammaliatore, e al contempo valutare ad uno ad uno le sue diverse sfumature? riusciremo a soffocare l’ingorda tentazione di affogare nell’alveo della sua abbondanza?

Se per me la domanda si deve necessariamente trasformare in un’affermazione di principio, è fuor di dubbio che per molti la questione nemmeno si pone. Per l’analisi di una pietanza, come di un vino, non occorre soltanto una preparazione adeguata della materia, ma è necessario sviluppare uno specifico metodo di interazione: per intenderci prima degustiamo e solo dopo ci abbuffiamo!

Coscienti di questa necessità, non resta che conferire al nostro piatto il rispetto che merita, e scegliere il giusto di vino che lo accompagni nel sereno ed idilliaco viaggio verso l’equilibrio sensoriale, frutto della reciproca combinazione delle sensazioni del cibo e del vino.

Soffermandoci, come di consueto, su quelle del cibo evidenziamo fin da subito le caratteristiche di succulenza e tendenza dolce della carne, sia di quella utilizzata come “fodero” della nostra preparazione che di quella costituente il contenuto della stessa.
Sensazioni altrettanto imputabili alla carne sono, inoltre, l’aromaticità e la speziatura, determinate nel nostro caso anche dal caciocavallo e dal salame, la grassezza, cui contribuisce anche la presenza dell’uovo sodo, ed una lunga persistenza gustativa.

E’ quindi necessario disporre di un vino sicuramente strutturato che sia in grado di competere con tutti questi elementi, che non sono soltanto percepibili, ma manifestamente imponenti. Il ricercato tentativo di trovare la giusta soluzione mi ha convinto a scegliere uno dei vini prodotti dai vitigni autoctoni a bacca rossa nerello mascalese e nerello mantellato. La robusta vigoria che conferiscono al vino ultimato, le adeguate doti di sapidità e acidità, il buon tenore alcolico ed il giusto tannino bilanciano in modo ideale il nostro immenso falsomagro.

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