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Il resto di niente: la rivoluzione dei sogni

  • 5 aprile 2005

Il resto di niente
Italia 2004
Di Antonietta De Lillo
Con Maria de Medeiros, Enzo Moscato

La rivoluzione napoletana del 1798 fa da sfondo all’ultimo film di Antonietta De Lillo, “Il resto di niente”, tratto dal romanzo omonimo di Enzo Striano. Non si tratta tuttavia di un film storico, non solo perché gli eventi sono filtrati dallo sguardo esule della protagonista, Eleonora Pimentel Fonseca (nobile portoghese spiantata ma coltissima), ma anche perché il cuore della riflessione è focalizzato su una domanda antica: come fare la rivoluzione? Dire e costruire i sogni (così ne parla il fantasma di Gaetano Filangieri, giurista morto 10 anni prima dei moti antiborbonici ma loro nume tutelare) è un dilemma rischioso, che può anche condurre al paradosso dell’oscurità dei Lumi, come era stato per il Terrore in Francia. Si potrebbe quasi fare un paragone con “Buongiorno notte” di Marco Bellocchio: anche qui, infatti, è una donna il luogo del dubbio e dell’interrogazione. Eleonora segue un percorso più psicologico che cronologico, in cui i ricordi e le emozioni si susseguono in modo rapsodico. La scelta di una chiave anti-didascalica, anti-illustrativa, è accresciuta inoltre da siparietti e inserti disegnati da Oreste Zevola e dalle musiche tutt’altro che settecentesche di Daniele Sepe.

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Un folklore rivoluzionario reso astratto, dove i personaggi storici sono trasfigurati in apparizioni vivide e parlanti immerse in un paesaggio di edifici decadenti, di pseudo-regge appartenenti a pseudo-nobili (grazie a una cura di costumi e set non pedissequa ma poetica). Il problema fondamentale di questi philosophes partenopei è comunicare col popolo: che lingua preferire tra italiano e dialetto? quale linguaggio usare? Una questione che riguarda in modo particolare Eleonora: a lei è affidata la redazione del giornale rivoluzionario e lei stessa vive ogni giorno questo problema in prima persona nel suo essere contemporaneamente donna e straniera. Perciò incarica strilloni e burattinai, nella speranza di parlare della rivoluzione anche ai bambini. Ma il paradigma di Pulcinella le svela tutte le sue insidie: senza re né padroni, Pulcinella, nel suo “simpatico” qualunquismo, chiama padrone chi gli dà il pane e si contenta di qualche lazzo consolatorio. La De Lillo sa evitare i facili femminismi della situazione e propone una domanda aperta sul diritto alla felicità, questa “cosa strana” che “fa paura”, attraverso la lotta forse goffa ma sincera di questi visionari.

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