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Il Trio dei Berliner Philharmoniker ospite degli AdM

  • 15 febbraio 2005

Se osserviamo la letteratura musicale cameristica e la presenza nei concerti, il trio è una formazione meno fortunata del quartetto d’archi, nonstante le sue possibilità espressive siano enormi: non a caso, grazie a una ricchezza timbrica che dà uno squisito sapore sinfonico a un gruppo ridottissimo di musicisti, questa forma di dialogo costante tra intimità ed esuberanza è stata invece assimilata da celeberrimi ensemble in contesto jazz. Con il Trio dei Berliner Philharmoniker – nato nel 1992 e composto da Rüdiger Liebermann (violino), Christoph Igelbrink (violoncello), Philip Moll (pianoforte) – gli Amici della Musica si sono perciò garantiti per il concerto di lunedì 21 febbraio alle 17 al Teatro Politeama tanto un’esperienza orchestrale tra le più importanti al mondo quanto una tra le realtà più solide della musica da camera, selezionando da un repertorio che spazia dal classicismo viennese alla musica più recente una panoramica del trio nell’800: Schubert, Beethoven e Cajkovskij.

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È bene sottolineare subito che nessuno di questi tre pezzi obbedisce al canone della forma sonata, e ciò rafforza l’impressione di una forma in perenne divenire e, in qualche modo, terreno di ricerca per soluzioni innovative, al di là di qualsiasi valutazione di merito. L’appena quindicinene Franz Schubert (1798-1828) della “Sonatensatz in si bemolle maggiore D.28” introdurrà il concerto. Ascolteremo un delizioso Allegro del 1812 ma pubblicato per la prima volta solo nel 1923. In poco più di otto minuti il pezzo dispiega il gioco malinconico e raffinato tra gli strumenti, in un’incantevole ricerca della timbrica più affabile e morbida: lungi dal raggiungere le soluzioni immortali dei trii più tardi (le cosiddette opere 99 e 100), questo trio non manca di colpire per una pacata, come amichevole, fresca irrequietezza. Appena più datato, 1808, il “Trio in re maggiore op. 70 n. 1” di Ludvig van Beethoven (1770-1827) è invece opera di un compositore maturo, che ha già scritto, tra le altre cose, la quinta e la sesta sinfonia. L’Allegro vivace e con brio si caratterizza da uno sviluppo parallelo dei timbri che dialogano, si contrappongono l’uno all’altro senza impastarsi ma neanche sovrapporsi o avere la meglio. Dal doloroso malinconico – più ancora che mistrerioso – Largo assai ed espressivo centrale deriva il sottotitolo con cui è noto questo trio, “Gli spettri”: la voce dei singoli strumenti si dipana con aristocratico contegno nella compenetrazione, più ancora che nell’ascolto reciproco, tra le voci che “cantano” il loro dolore. Nel Presto conclusivo prevale il dialogo ironico tra un pianoforte prevalentemente arpeggiato e il gioco di rimando tra violino e violoncello.

Il “Trio in la minore op. 50” di Pëtr Il’ic Cajkovskij (1840-1893), unico nella produzione del grande compositore russo, è dedicato al pianista Nicolaj Rubinstein, di cui Cajkovskij era stato collega e allievo spirituale negli anni Sessanta al Conservatorio di Mosca. Il trio, sottotitolato appunto “Alla memoria di un grande artista”, completato nel 1882 ed eseguito nel marzo dello stesso anno, si fa notare per la sua ampiezza (circa 50 minuti) e la sua struttura molto più articolata, tipica delle variazioni, ai cui dettami fondamentalmente obbedisce. Un primo movimento consiste in un Pezzo elegiaco (Moderato assai – Allegro giusto), vero e proprio inno di dolore per l’amico. Il secondo movimento racchiude l’esposizione del tema principale e delle prime undici variazioni, in omaggio al virtuosismo di Rubinstein, mentre la variazione conclusiva, la dodicesima, apre il terzo e ultimo movimento (Allegro risoluto e con fuoco), chiuso a sua volta da una tradizionale coda.nformazioni si può contattare l’Associazione Siciliana Amici della Musica al numero telefonico 091.6373743.

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