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Intitolata a Francese la Scuola di giornalismo

  • 30 gennaio 2006

Coraggio nell’affrontare una realtà che a volte è più facile ignorare, determinazione nel perseguire un obiettivo anche quando questo significa sacrificarsi, limpidezza nella ricerca costante della verità, una ricerca che può costare caro. Queste qualità, Mario Francese, assassinato dalla mafia il 26 gennaio 1979, le possedeva tutte. Dare un volto, un nome alla realtà che lo circondava e alla verità, quella celata, quella non ufficiale, era la sua missione che lo portava a vivere la notizia. L'Ordine dei giornalisti di Sicilia e l'Università di Palermo hanno voluto ravvivare la memoria di questa tragedia siciliana con una serie di iniziative. L’anniversario dell’omicidio di Francese è diventato infatti la giornata dedicata alla memoria dei giornalisti vittime della mafia. E’ stata inaugurata una lapide in viale Campania, luogo in cui avvenne l’assassinio di Francese. Un’altro omaggio significativo è la mostra allestita presso il laboratorio della Scuola di giornalismo dell'Università di Palermo, che è stata inoltre intitolata alla sua memoria. Un’iniziativa accolta con entusiasmo dagli studenti della scuola per i quali, il cronista siracusano, diventa un esempio di etica e professione. La mostra permanente, collocata nell’edificio 15, che ospita la Scuola di giornalismo, si intitola “Mario Francese, una vita in cronaca. Per rompere il silenzio”, e comprende trenta pannelli riportati alla luce dopo un lungo periodo. L'esposizione è articolata in tre sezioni. La prima è dedicata alla sua vita, la seconda al contesto sociale e alle trasformazioni avvenute a Palermo tra gli anni sessanta e settanta, e la terza in ricordo della sua professione. La mostra è stata realizzata dall’Ordine e curata da Giovanna Fiume e Salvo Lo Nardo. All’inaugurazione sono intervenuti il segretario del consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Vittorio Roidi, il presidente del consiglio siciliano, Franco Nicastro, il preside della facoltà, Patrizia Lendinara, il direttore del laboratorio e della testata Ateneonline, Natale Conti e il figlio del cronista assassinato, Giulio Francese.

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Unico cronista di giudiziaria all’interno del Giornale di Sicilia, Francese non era un giornalista da scrivania. Si muoveva per strada, a contatto con la gente. Con le sue cronache riuscì per la prima volta a raccontare storie di disperazione, di sopravvivenza laddove la forza di urlare non c’è. Ma la sua sete di sapere e il suo metodo investigativo non avevano confini e lo condussero a calpestare un territorio ostile. Fu il primo a capire che in una terra di contadini, Corleone, stava nascendo una nuova mafia legata al mondo dell’economia. Una cosca pericolosa, dalle enormi dimensioni. L’inchiesta sulla costruzione della diga Garcia, l’attacco continuo alla famiglia Riina, rappresentarono per Cosa Nostra una spina sul fianco da dover eliminare. Il 26 gennaio 1979, Mario Francese venne ucciso sotto casa dopo una dura giornata di lavoro. Da quel momento la Sicilia diventa teatro di omicidi. Uomini come Francese vennero puniti per la sola colpa di non avere paura. Eppure la sua morte non venne riconosciuta come l’inizio di quella serie di strage che hanno macchiato di sangue la Sicilia. Il suo nome è stato spesso dimenticato, coperto di polvere. Ventitre anni di silenzio che offendono il coraggio di chi non si è tirato indietro quando poteva, di chi non è sceso a compromessi e non ha avuto paura di svelare l’ insvelabile. Un silenzio che si è rotto nel 2002, quando la Corte d’Assise di Palermo ha emesso la sentenza con la quale si riconosceva il profondo impegno civile di Francese e la matrice mafiosa del suo omicidio. Un lungo processo però ha reso giustizia al suo nome e ha condannato i mafiosi responsabili del delitto, i componenti della Commissione di Cosa Nostra. Oggi, dopo ventisette anni, il suo nome viene elevato ad esempio per le nuove generazioni. Allo Spasimo, inoltre è stata inaugurata la mostra nazionale intitolata “Il giornalismo che non muore. Viaggio nel giornalismo d’inchiesta attraverso le storie dei cronisti uccisi”, organizzata dall’Ordine dei giornalisti di Sicilia con l’associazione “Ilaria Alpi”, aperta al pubblico fino al 31 gennaio tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19.

«Bisogna rompere il silenzio e imparare a conoscere la nostra storia – afferma Giulio Francese – Il nome di mio padre e di altri grandi uomini come lui, è stato a lungo dimenticato perché si preferisce il silenzio. In questi pannelli – continua commentando la mostra – non c’è soltanto la storia di mio padre ma un pezzo di storia della Sicilia. Sono molto importanti queste foto, sono chiavi di lettura. In uno dei pannelli esposti mio padre è accanto ad un cadavere mentre gli altri giornalisti stanno in fila dietro di lui. Era in ferie, ma quando seppe dell’omicidio, si precipitò sul luogo del delitto. Aveva passione per il suo lavoro e non stava mai a guardare, lui entrava dentro la notizia». E conclude: «C’è chi sosteneva che mio padre fosse un visionario , ma alla fine il tempo è stato galantuomo». Una ricompensa che ha avuto bisogno di tempo, dunque, ma non solo. Mario Francese, «l’esempio più alto di eroismo», come lo ha definito il rettore dell’Università, Giuseppe Silvestri, e con lui i suoi colleghi, sono stati ricompensati soprattutto dai giovani che hanno rispolverato i loro nomi e guardano oggi ad essi con rispetto e commozione.

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