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L’indicibile crudeltà di Medea

È esaltante la grandezza dell’autore greco che già duemila e più anni or sono aveva individuato problematiche umane così autentiche ed eterne

  • 22 giugno 2004

In quel luogo magico e stupendo che è il teatro greco di Siracusa, l’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico), perpetuando una tradizione ben antica (siamo al XL ciclo di rappresentazioni classiche), conferma il suo appuntamento con la tragedia greca. E’ qui infatti che dal 14 maggio al 20 giugno si sono alternate le due tragedie scelte quest’anno, la “Medea” di Euripide e l’ “Edipo Re” di Sofocle, mentre al Castello Maniace viene rappresentata, sempre nello stesso periodo, una commedia di Aristofane, “Donne in assemblea”. La “Medea” di Euripide, interpretata da Maddalena Crippa nel ruolo principale, con Gianluigi Fogacci, Paolo Graziosi, Carla Manzon, Fabio Sartor, Giovanni Crippa, Vittorio Viviani (ai quali vanno aggiunte le dodici attrici del coro diretto da Luigi Marzola), con i costumi di Moidele Nickel, le scene di Ferdinand Wogerbauer, le musiche di Giovanni Sollima, diretta da Peter Stein con la traduzione di  Dario Del Corno, ripropone in tutta la sua stupefacente attualità la terribile vicenda di dolore e orrore di Medea: il dolore per essere stata abbandonata da Giasone, marito e padre dei suoi due figli, per amore del quale ha lasciato la sua terra e ha tradito la sua famiglia; l’orrore di fronte al concepimento e compimento dell’insano gesto, l’uccisione dei loro figli, per punire l’uomo fedifrago.

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È esaltante la grandezza dell’autore greco che già duemila e più anni or sono aveva individuato problematiche umane così autentiche ed eterne. E d’altronde nelle sue opere è più al comportamento degli uomini che non agli interventi divini che si devono i vari accadimenti, cosa questa che lo differenzia dagli altri due grandi autori tragici greci, Eschilo e Sofocle, nei quali invece maggiore è l’influenza degli dei. Il fedifrago Giasone (il bravo Gianluigi Fogacci) e l’incrudelita Medea (una vigorosamente brava Maddalena Crippa) conducono quindi a riflessioni sempre attuali sulle quali la vendetta della donna, tragica oltre ogni dire, lascia il segno più forte, acuito tra l’altro dalla regia misurata e essenziale di Stein che affida alla magnificenza del carro, grandiosamente illuminato sul quale alla fine si libra nell’aria Medea, il senso della grandezza di questo personaggio. Sulla scena semplice, una casetta di legno su un morbido declivio, è il coro delle donne di Corinto che esplicita tutti gli oscuri presagi mortiferi presenti sin dall’inizio, coro che attraverso il canto e il movimento rielabora la sua funzione in un approccio nuovo anche se non sempre efficace. Ma l’elemento principe dello spettacolo rimane questa indicibile crudeltà tutta femminile che, dagli anfratti più reconditi dell’animo umano nei quali alberga, viene qui da Stein resa manifesta in tutta la sua sconcertante essenza.

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