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L’infanta di Ballarò tra l’accidia del presente e un passato quasi onirico

  • 28 marzo 2005

Santo Calavà è poeta e perdigiorno. Ma anche l’esperto d’arte che s’incontra smarrito nel tumultuoso flusso di coscienza sgorgato da una telefonata inattesa. Dalle parole notturne che di colpo sospendono gli incubi vissuti ad occhi spalancati nel buio ostile. Un motivo in più per riconsiderare l’eventualità mai rimossa di comporre i frammenti di un complesso discorso amoroso. Del quale un Calavà tuttavia degno dello Svevo più problematico è dapprima parsimonioso col lettore la cui tensione cresce col dipanarsi della vicenda che instrada il protagonista de “L’infanta di Ballarò” in una intrigante “recherche”. Ambientata tra l’accidia del presente e un passato quasi onirico dal quale non sono esclusi i favori e gli amplessi più o meno immaginari dell’età acerba. Perché i particolari che la telefonata gli ha rivelato mettono l’amabile esteta sulle tracce di una  malavitosa primula rossa della sua giovanile Albergheria. Di uno che tratta con uguale vantaggio trippa di manzo e dipinti rubati e che appunto potrebbe fornire particolari essenziali su un molteplice e clamoroso furto d’arte.

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Da qui una ricognizione urbana densa di reminiscenze evocate anche dal torbido interno d’una vecchia taverna dai tavoli di ferro battuto e di marmo unto. Ricordi che Pippo Bonanno, pittore noto anche in ambito nazionale, recupera pure dalle facciate scrostate dei palazzi settecenteschi e dai panni della composita umanità che ora li abita. Perfino dai colori di antiche pietanze e dal brodo rossastro e speziato degli antichi caldumai. E il viaggio con Calavà proseguirà intrigante e nostalgico fino al concitato abbrivio finale. E al momento il protagonista di una fortunata seconda edizione del romanzo avrà in mano certi incredibili diari seicenteschi. Lasciamo ai lettori il piacere di scoprire se si tratterà o meno delle desolate pagine d’una misteriosa Infanta di Spagna. Insieme al privilegio di stare accanto al Calavà quando scoperchierà un brulicante verminaio di ladri d’arte. Indaffarati sanguinosamente tra inquietanti brandelli di tela, che potrebbero appartenere ad un Caravaggio rubato troppo facilmente, e un sontuoso Velasquez al contrario sconosciuto ad ogni esperto d’arte.

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