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La fabbrica di cioccolato: l’infanzia al gusto di cacao

  • 4 ottobre 2005

La fabbrica di cioccolato (Charlie and the chocolate factory)
U.S.A., Regno Unito, 2005
Di Tim Burton
Con Freddie Highmore, Johnny Depp, Helena Bonham-Carter, Noah Taylor, David Kelly, Missi Pyle, Deep Roy, James Fox, Christopher Lee

Se “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato” del 1971 è diventato un classico per famiglie lo si deve soprattutto all’interpretazione di Gene Wilder più che alla regia manierata e un po’ kitsch di Mel Stuart. Realizzare un remake di questo film non costituisce dunque un azzardo (a dispetto del parere dello stesso Wilder) specialmente se dietro la macchina da presa c’è quel geniaccio di Tim Burton, uno dei più grandi narratori del nostro tempo, l’unico degli autori contemporanei in grado di raccontare con ironia dark la diversità, utilizzando i toni da favola (chi scrive si è già emozionato a Venezia con il più recente “La sposa cadavere” in stop motion). Se c’è uno scrittore che le nuove generazioni dovrebbero pure scoprire è l’inglese Roald Dahl che ha saputo raccontare delle storie morali ricche di fantasia e questo remake de “La fabbrica di cioccolato”, tratto dal suo “Willy Wonka”, è la giusta occasione per farlo. In questo film si conferma solidissimo il sodalizio artistico tra Tim Burton e Johnny Depp, una perfetta simbiosi coronata dal talento del musicista Danny Elfman che con la sua nuova partitura ha realizzato un’altra delle sue colonne sonore da collezione. Charlie Bucket (il piccolo Freddie Highmore che già aveva recitato con Depp in “Neverland”) è un bambino ridotto in povertà che crede al valore della famiglia, e questo gli permette di sorridere alla vita nonostante le difficoltà esistenziali. Il suo sogno è di visitare una fabbrica di cioccolato eretta davanti la sua casa, un luogo che ben conosce il nonno Joe (il famoso attore inglese David Kelly, visto in “Svegliati Ned”), visto che un tempo egli è stato uno degli impiegati a servizio dell’eccentrico proprietario Willy Wonka.

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E’ da quindici anni ormai che questi non si fa più vedere, fino al giorno in cui decide d’indire un concorso mondiale inserendo dei "Golden Ticket" nelle barrette di cioccolato. I cinque bambini fortunati che troveranno il biglietto d’oro potranno visitare la fabbrica di cioccolato e, alla fine, solo uno di loro potrà diventarne l’erede (è questo il segreto progetto di Willy). Il piccolo Charlie è per l'appunto il quinto bambino: la fortuna e la generosità lo porteranno insieme ad altri quattro insopportabili protagonisti a vivere un’incredibile avventura tra le cascate di cioccolato della fabbrica. Il dolce nasconde naturalmente anche l’amaro e Willy (interpretato da un androgino Depp con pelle plastificata alla Michael Jackson e una dentatura nuova di zecca) è pronto ad eliminare quei bambini preda dell’eccessiva ingordigia e curiosità. La fabbrica di cioccolato è un piccolo universo composto da voraci scoiattoli utilizzati alla catena di montaggio, prati di menta, laghi di miele, alberi al caramello, neve a forma di fragola e nani operai. Fra questi ultimi c’è l’attore Deep Roy che interpreta una creatura della tribù degli Umpa-Lumpa ed è moltiplicato all’infinito grazie alla tecnica digitale, capace di scatenarsi in numeri musicali che echeggiano le coreografie dell’indimenticabile Busby Berkeley (una sequenza in modo particolare fa pensare al celebre “La danza delle luci”) e i film con Esther Williams. Una delle tante trovate di cui è infarcito, nel senso letterale, questo nuovo gioiello di Tim Burton (qui in stato di grazia) è una barretta di cioccolato inquadrata come se fosse il monolite del “2001” di Kubrick.

Dopo il commovente e più adulto “Big Fish”, Burton continua a dare sfogo a tutta la sua fantasia recuperando quasi alla lettera le atmosfere e i toni del romanzo di Dahl consegnandoci una fiaba assai vicina allo spirito di uno dei primi suoi successi, “Edward mani di forbice”. Unica trasgressione poetica rispetto al libro è l’aver voluto raccontare l’infanzia di Willy Wonka, attraverso un flashback che ci mostra il piccolo Willy coperto fino alla testa da una terribile dentatura montata dal padre dentista che ha il volto di Christopher Lee, icona dell’horror (in “Edward” c’era il compianto Vincent Price). Nell’assecondare la meravigliosa, favolistica diversità dei suoi personaggi, Burton ricrea una delle sue tante città immaginarie, Brigadoon dell’anima dove si cela un lato oscuro e orrorifico, tanti paesi dei balocchi dove gli eredi di Pinocchio possono rifugiarsi per evadere dallo squallore familiare (come fa Charlie sfuggendo ai genitori interpretati da Helena Bonham-Carter e Noah Taylor).
Lo stile di Burton recupera gli archetipi della grande maniera hollywoodiana, mutandone modernamente la prospettiva con il suo surrealismo di gusto pop. E come tutte le favole, anche questa de “La fabbrica di cioccolato” contiene delle utili ammonizioni: attenti ai traumi infantili ma anche ai vizi eccessivi dei figli, che potrebbero trasformarsi in piccoli mostri se non trovano sulla loro strada un Willy Wonka capace di salvarli e di farsi salvare da loro.

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