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Le lacrime di Fabrizio Miccoli: "Non sono un mafioso"

L'ex bomber del Palermo, al centro di indagini e di una bufera mediatica per una serie di intercettazioni, risponde: «Ho sbagliato, ma dimostrerò chi sono realmente»

  • 23 giugno 2013

«Mi rendo conto di aver sbagliato, però più di tutto conta la propria coscienza: io mi sento di dire che sto bene con me stesso e che lo sarò di più quando dimostrerò che non sono un mafioso e sono contro la mafia; spero che un domani mi sia data la possibilità di dimostrarlo con i fatti». Dopo il silenzio iniziale, Fabrizio Miccoli risponde e lo fa nel corso di una conferenza stampa, sebbene interrotto dai legali, in prossimità di domande scomode, ma anche da lacrime e ricordi di sei anni di carriera calcistica a Palermo.

«Non sono preoccupato, ma fiducioso per quello che sarà - ha dichiarato il calciatore - e a dirla tutta sono anche contento di essere stato chiamato per dire quello che sono realmente, la persona che sono. Penso anche che sapessero già che persona sono, anzi speravo di essere chiamato prima per togliermi questo peso di dosso». Il "peso" in questione è un'indagine per estorsione e accesso abusivo a sistema informatico, ma non solo: ci sono frequentazioni con Francesco Guttadauro, nipote del boss Matteo Messina Denaro e con il figlio del boss Antonio Lauricella. E poi c'è quello davvero non si riesce a mandare giù: l'intercettazione con la frase su "quel fango di Falcone".

Proprio in merito a questa dichiarazione, Miccoli chiede scusa e ribadisce che si tratta di cose che non pensa assolutamente; aveva anche pensato di portare la sua maglia sotto l'albero Falcone di Palermo, ma precisa che «in questo momento il gesto verrebbe strumentalizzato». A sua difesa, parla di un atteggiamento amichevole, ai limiti dell'ingenuità, offerto a chiunque: «Ho cercato di essere Fabrizio per tutti, sperando di trovare delle persone pulite». E aggiunge: «Non ho mai frequentato certi locali, ho sempre cercato di fare soltanto allenamento e casa, non sono mai stato né a feste private nè altrove. Andavo a caccia o al ristorante con l'ispettore di Polizia, a pesca con gente della Digos, ho frequentato tutti. Non avevo bisogno di farmi vedere o di andare in giro con qualcuno, vedevo nelle varie amicizie amicizie pulite, che potevano essere con chiunque».

C'è tempo anche per parlare del suo rapporto con Maurizio Zamparini, presidente del Palermo Calcio: «Ho sentito il presidente e mi dispiace per come è finita; se devo fare una conclusione di questi 6 anni posso solo ringraziarlo perché mi ha dato la possibilità di far parte di una squadra e di una città che non dimenticherò mai. Mi sarei aspettato un futuro diverso, ancora non so quale sarà ma so di avere la mia idea e la porto avanti, aspetto i tempi giusti, vedremo quello che succederà». A concludere la conferenza stampa, ancora il calcio, ancora la città di Palermo e le speranze per il futuro sul campo da gioco. Incerte.

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