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Primo amore, realismo ed essenzialità nell’incertezza del postmoderno

Con “Primo amore” il cinema italiano segna il suo definitivo accostarsi al trend del cinema europeo ed occidentale

  • 16 febbraio 2004

Primo amore
Italia 2003
Di Matteo Garrone
Con Vitaliano Trevisan, Michela Cescon

Se “Buongiorno Notte” di Marco Bellocchio ha deluso chi si aspettava di più dal regista sapiente de “L’ora di religione”, “Primo amore” conferma invece la bravura che emergeva da “L’imbalsamatore”, accentuando il realismo e l’essenzialità. Il protagonista, interpretato dall’eclettico scrittore vicentino Vitaliano Trevisan (Vittorio), ha collaborato alla stesura delle sceneggiature, ma non è un attore professionista, mentre i dialoghi sono stati scritti registrando quelli “spontanei” emersi durante le prove, ed in molti casi sono stati mantenuti pressoché identici a quelle improvvisazioni, con un evidente giovamento apportato alla loro verosimiglianza che qui è cruda, preoccupante, carica di presagi negativi che non mancheranno di avverarsi, anche se Garrone sceglie di evitare allo spettatore il tragico epilogo del libro semi-autobiografico da cui il film è stato liberamente tratto. Vittorio in genere preferisce ragazze più magre, al limite dell’anoressia, ma al momento dell’incontro con Sonia, intelligente e viva intellettualmente si convince d’aver trovato la mente di quell’essere perfetto di cui va alla ricerca, ma perché Sonia sia davvero la donna per lui, è necessario che anche nel corpo lei si avvicini all’ideale. Sonia sfiora l’annichilimento totale, nella ricerca di quello zenith della bellezza che è essenza pura, puro spirito, privo della più pallida ombra di corporeità.

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Si può obiettare che i rapporti di coppia non siano sempre così spietati, ma Garrone è in grado di impostare il suo racconto cinematografico ponendo la storia su di un piano simbolico perché essa assuma un valore emblematico e paradigmatico. Se è vero che non tutti costringono la propria donna ad annientarsi perché sia più piacente, è vero anche che pressoché ognuno di noi ha sentito il bisogno di cambiare il partner perché rispecchiasse di più le proprie aspettative ideali. Ma fino a che punto - sembra chiedersi Garrone - è possibile tentare di cambiare se stessi per piacere e fino a che punto è possibile pretendere dall’altro un cambiamento che ci soddisfi? Garrone focalizza la sua riflessione sulle dinamiche dei rapporti di coppia e quello che la sua lente indagatrice - che ha in comune con Lars Von Trier l’asciutezza e la ricerca dell’iperrealismo - scopre è un paesaggio inquietante, fatto di sopraffazione ed annientamento.

Se lo spirito di quest’epoca, che prende le mosse dall’incertezza e dalla precarietà dei valori del postmoderno, possiede un’identità peculiare essa è da ricercare nel sereno cinismo che la attraversa irrorandola come una rete di vasi capillari, almeno a giudicare da come essa ha preso forma sullo schermo cinematografico. Con “Primo amore” il cinema italiano segna il suo definitivo accostarsi al trend del cinema europeo ed occidentale e lo zeitgeist di un’ epoca in cui i buoni sentimenti sono banditi è entrato di viva forza nei nostri tessuti proprio attraverso il cinema, che se ne è fatto interprete. Un successo che è destinato a lasciarci con l’amaro in bocca…esattamente come il film di Garrone: bellissimo, eppure insostenibile.

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