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Quintorigo, riparte l'avventura: «La nostra una scelta onesta»

  • 27 marzo 2006

Non si può negare che l’annuncio, dato nel maggio 2005, del divorzio tra John De Leo e i Quintorigo spiazzò, se non un ambiente musicale preparato da diversi rumours, quantomeno i fan del quintetto. Il più credibile e dotato erede di Demetrio Stratos, carismatico e istrionico cantattore dalle fenomenali potenzialità vocali e interpretative, lasciava non senza acredine (da una parte e dall’altra) la band che aveva scardinato i meccanismi del rock recente italiano, sparigliando la scena dopo l’avvento dei Padri dell’indie italiano. Due partecipazioni a Sanremo di alto standard qualitativo, tre dischi e un live nei quali classici rock, rielaborazioni di genere (pop, rock, jazz, persino rap) e composizioni originali venivano rese con un sound a base di archi, fiati e la versatile voce di De Leo, che dava – miracolo! – risultati rock al 100%, spesso accostabili agli illustri predecessori (Tom Waits, Deep Purple, David Bowie solo per citare alcune cover) senza il timore di sembrare blasfemi. Legittimi erano dunque i dubbi di chi osservava la band, orfana del frontman, continuare sul binario fino a lì percorso con una nuova e duttile voce, quella di Luisa Cottifogli, mantenendo la ragione sociale e anzi pubblicando un nuovo disco.

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Inevitabilmente spiazzante, “Il cannone”, dove l’omonima traccia sembra quasi dire “abbiamo scherzato, non è cambiato niente”, tanto è classicamente quintorighiana nell’arrangiamento e nelle linee vocali. De Leo sembra lì, un fantasma che aleggia o un tentativo di non rendere troppo drastico l’approccio con la nuova realtà per chi ascolta? Fatto sta che il disco si mantiene su questi standard a lungo, per l’esattezza fino a “Nel clone nel padre”, ottava traccia in cui Luisa Cottifogli sembra più una rocker di razza, chitarra in braccio, che espressione vocale delle raffinate trame del gruppo. Una delle sorprese, come il tradizionale arabo “Ranni Li”, in un disco che abbonda di cover (tra cui la prima italiana ad apparire su disco, quella “Luglio agosto settembre (nero) in cui torna il nome di Stratos, e un ritorno al passato con una nuova versione di “Grigio”). Un lavoro che sorprende, comunque, per i motivi appena accennati. Che mostra la voglia da parte dei Quintorigo di cambiare mantenendo però la propria identità, in cerca di una direzione nuova che forse deve essere ancora individuata. L'intervista di Balarm.it a Valentino Bianchi, sassofonista della band, ha permesso comunque di fugare numerosi dubbi, a cominciare proprio da Luisa Cottifogli.

Cominciamo inevitabilmente dal passato. Il distacco tra voi e John è stato traumatico.
«Le nostre strade si sono divise dopo tante belle cose e dieci anni vissuti insieme. Il gruppo purtroppo era entrato in crisi, la vena creativa si era esaurita per divergenze artistiche e umane. Proponevamo uno spettacolo ormai trito e non pubblicavamo più un album ormai da due anni. Non era un mistero che John volesse fare un lavoro come solista, per cui alla fine abbiamo deciso di separarci».

Avete deciso di continuare come Quintorigo per dimostrare che il gruppo non si identificava unicamente con De Leo? Non è stato un rischio? Ci sono stati storicamente gruppi che hanno optato per l’una o per l’altra soluzione.
«Quando John se n’è andato abbiamo valutato varie ipotesi su come continuare. Si era parlato di un progetto strumentale portato avanti da noi quattro, oppure di fare un disco con gli ospiti coi quali avevamo lavorato nel corso della nostra carriera, ma sarebbe stato solo un modo per aggirare il problema. Abbiamo quindi optato per una nuova voce, e abbiamo subito stabilito che fosse una voce femminile, anche per segnare un cerco distacco. Abbiamo optato per Luisa, che conoscevamo bene e con la quale avevamo già collaborato. Il rischio di continuare con il nome Quintorigo c’è, ma è difficile abbandonare una cosa che ti appartiene. D’altra parte, se quattro quinti del gruppo volevano continuare così, ci è sembrato giusto mantenere le cose per come stavano. John poteva anche essere un leader carismatico, questo non saprei dirlo, ma alla fine i testi li scrivevamo insieme. Penso che chi ci apprezza continuerà a seguirci, altrimenti seguirà John, che credo uscirà presto con un suo progetto. Di sicuro abbiamo fatto una scelta coraggiosa e onesta, con un disco in linea con la nostra produzione precedente ma aperto anche a soluzioni alla portata di più persone, senza alcuni elementi cervellotici che caratterizzavano i nostri lavori passati».

Ci sono tracce che sono estremamente simili, anche nelle parti cantate, a ciò che già facevano i Quintorigo. Poi però compaiono canzoni completamente diverse. Cos’è, un tentativo di innovare il vostro repertorio senza stravolgerlo? Un modo per rendere il cambiamento meno brusco?
«C’è sicuramente continuità col passato, dal punto di vista compositivo operiamo come facevamo prima. Il cantato di Luisa differisce da quello di John innanzitutto per caratteristiche biologiche. Inoltre lei è più grande di John, e ha rappresentato un modello per lui. Dunque non è vero, come a volte la gente crede, che sia Luisa a imitare John, è vero piuttosto il contrario».

Come sempre ci sono delle cover, anche se il numero è aumentato. Mi sono sempre chiesto se scegliete le cover solo in base a ciò che vi piace o anche a come vengono rese le canzoni coi vostri particolari arrangiamenti.
«Scegliamo le cover con un criterio estetico, optando per quelle canzoni che piacciono a tutti, ma le scelte sono dovute anche a caratteri testuali e contestuali. Ad esempio, abbiamo fatto la cover di “Redemption Song” non solo perché Bob Marley era un grande artista, ma anche perché parla di sviluppo sostenibile e di pace, così come avviene nel resto del disco. Penso ad esempio alla stessa “Il cannone”».

Il ricavato del singolo di “Redemption Song” sarà devoluto ad Amref. L’impegno che ha sempre caratterizzato i vostri testi, prima con temi ambientali, ora anche con quelli umanitari, non vi ha abbandonato. Si può dire che i Quintorigo siano stati sempre “politicamente” schierati, inteso come attenzione verso certe tematiche.
«Sì, il gruppo è apolitico ma impegnato. Trovo che sia un atteggiamento giusto per chi fa musica quello di preoccuparsi dei problemi del pianeta».

C’è anche la prima cover in italiano mai apparsa su un vostro disco. Perché avete scelto questo classico degli Area?
«Abbiamo scelto gli Area perché li amiamo, tra l’altro sono romagnoli, quindi nostri conterranei. E poi perché riteniamo che il loro messaggio musicale e ideologico sia ancora condivisibile. Abbiamo poi tradotto un testo dei Police che Sting stesso ha approvato, cosa che ci ha dato molta soddisfazione. Questa canzone l’abbiamo scelta perché è bella, perché parla anch’essa di pace e perché ci piacciono i Police».

Chiude il disco un vostro vecchio pezzo, “Grigio”. La scaletta del concerto si orienterà su “Il cannone” o ci saranno ripescaggi dal passato?
«Sicuramente ci saranno molti pezzi del nuovo album, ma anche qualche nostra vecchia canzone. I brani sono stati riadattati per Luisa, ma le abbiamo lasciato carta libera per l’interpretazione. Abbiamo poi voluto curare il concerto anche dal punto di vista scenografico. Ci saranno delle videoproiezioni realizzate da dilettanti, cioè noi (ride, ndr), un contributo filmato di Amref e delle luci. E’ chiaro che la musica farà la parte più importante».

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