"Tancredi e Clorinda", il sogno di Cuticchio
Insieme alla musica, sono le parole fra il “cunto” e il canto, a raccontare la storia di due giovani che non potranno vivere il loro amore
Al centro poi la commozione di una storia d’amore senz’altro attuale che si conclude sullo sfondo delle crociate e con la scena di Clorinda morente adagiata su una montagna di guerrieri caduti in battaglia. Insieme alla musica, cantata da Luca Dardolo, Picci Ferrari e Ugo Gagliardo e suonata dal vivo dall’ensemble dell’associazione di musica antica Antonio Il Verso diretto da Ignazio Maria Schifani al clavicembalo, sono le parole fra il “cunto” e il canto a raccontare la storia di due giovani che pur essendosi incontrati non potranno mai vivere il loro amore. La chiave che ispira il dramma è l’episodio del XII canto “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso in cui il cavaliere cristiano Tancredi, innamorato della guerriera musulmana Clorinda, è costretto dalla sorte a battersi in duello proprio con lei e a ucciderla.
E Mimmo Cuticchio, nel suo ruolo di attore-puparo ora dà voce e azione ai tanti personaggi dello spettacolo ora si dedica al racconto affidando, invece, agli opranti Fulvio Verna e Tania Giordano la partitura fisica. In ogni caso rimane sempre dentro l’azione come un grande maestro che regola il tempo e lo spazio di un luogo magico in continua trasformazione. Attento a curare e a seguire passo dopo passo quel delicato equilibrio fra l’improvvisazione basata sulle nove scene del canovaccio e la precisa partitura che la musica impone. In attesa di un crescendo in cui si mescolano dialoghi intimi e urla di guerra, segreti svelati e fatali fraintendimenti. Le trame dell’Opera dei pupi questa volta incontrano il repertorio seicentesco per avvicinarsi all’opera lirica e confezionano con precisione ed eleganza un’ulteriore tappa di quel filone che mette insieme voce, pupi, canto lirico e musica classica. E ancora la musica antica incontra la presenza al contempo muta e viva di quarantadue pupi costruiti per l’occasione e manovrati a vista. Così la scena aperta costruisce con il pubblico un rapporto diretto in cui anche i silenzi e le pause danno respiro alla drammaturgia. Un amalgama di chiaroscuri che strappano “Tancredi e Clorinda” all’effimero del teatro e lo affidano alla memoria.
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