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"Un'altra storia" per raccontare Rita Borsellino

Balarm
La redazione
  • 18 dicembre 2006

Il 12 dicembre è stato presentato in anteprima a Palermo il film-documentario "Un’altra storia" di Marco Battaglia, Gianluca Donati, Laura Schimmenti e Andrea Zulini prodotto dalla società palermitana Playmaker. Il documentario, che ha ricevuto il Premio speciale della Giuria al 24° Festival di Torino DOC-2006, racconta la campagna elettorale di Rita Borsellino e le iniziative legate alla sua candidatura contro il presidente della Regione Totò Cuffaro, dalle primarie dell’Unione al Rita Express. Balarm.it ha incontrato i registi.

Com’è nata l’idea del documentario su Rita Borsellino?
L. S.: «Quando abbiamo sentito per la prima volta la possibilità che potrebbe essere Rita una possibile candidata ci siamo subito entusiasmati all’idea che potesse essere lei la candidata e che potesse rappresentare veramente una svolta, o comunque un nome che potesse avere una qualche chance piuttosto che arrendersi allo stato delle cose e quindi subito di scatto quel pomeriggio stesso abbiamo telefonato e abbiamo preso un appuntamento con lei per chiederle se potevamo realizzare questo progetto».
G. D.: «è interessante appunto che ci fosse lei, un personaggio al di fuori dei partiti, un personaggio che rappresentasse veramente la legalità contro il centrodestra che sappiamo che cos’è. Immaginandosi un documentario, immaginandosi che ci sarebbero state le primarie, e quindi tutto lo scontro all’interno dello scontro e soprattutto le elezioni, immagini, cominci già ad immaginare come un documentario possa raccontare la Sicilia perché chiaramente all’interno del discorso elezioni ci finiscono dentro tutti i problemi che ci sono. Quindi significava pensare di seguire tutta la campagna elettorale da una parte e dall’altra ci finivano dentro sanità, rifiuti, legalità contro mafia eccetera. Pensando a un lavoro da fare è una cosa molto interessante anche perché subito ci siamo posti il problema di capire come infilare dentro tutti questi temi perché ovviamente non potevamo fare un altro “La Mafia è bianca” e parlare tantissimo di sanità o fare un altro documentario sui rifiuti. Il problema di questo documentario era come fare entrare tutte queste cose e come spiegarle senza dover per forza fare un reportage d’inchiesta singola per ogni cosa. Per sette mesi abbiamo seguito i comizi soprattutto suoi e i comizi dall’altra parte e quindi c’era proprio la certezza che facendo cosi avremmo raccolto materiale su tutto».
L. S.: «C'era anche la voglia di raccontare Rita, di raccontare il suo percorso, e il tentativo di spiegare quest’altro lato della Sicilia, o meglio di raccontare le due facce della Sicilia. Probabilmente c’è una Sicilia che è quella più conosciuta, quella che viene sempre descritta, di cui si parla sempre ma sappiamo che ne esiste un’altra. La cosiddetta società civile, una Sicilia impegnata che probabilmente è meno conosciuta. La resistenza che si fa da queste parti. Il nostro documentario cerca di mettere dentro tutte queste realtà: c’è Peppino Impastato, Pina Maisano, Portella delle Ginestre, quello che significa anche a livello personale fare resistenza qui. Abbiamo tentato di mettere un po’ dentro tutte queste realtà e chiaramente è difficile rispetto alle modalità che abbiamo scelto. Per esempio il fatto di non mettere voce fuori campo, di non fare interviste. Quindi delle cose anche molto semplici che tecnicamente o meglio formalmente potevi risolvere in maniera molto facile, dicendo due cose o facendo un servizio, raccontare con quello che succede non è sempre semplicissimo. Anzi, è una grande difficoltà.

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Perché questa scelta di non mettere commenti?
M. B.: «Perché penso che il fatto che non ci sia un intervento esterno, didascalico, dall’alto in qualche modo, ma invece di fare raccontare le cose alle facce, alle persone, ai volti, alle parole delle persone che sono realmente lì in quel momento sia molto più interessante. Se poi con la giusta posizione in situazioni diverse riesci a raggiungere lo stesso obiettivo che avresti raggiunto con un commento hai doppiamente vinto secondo me».
G. D.: «La scelta è venuta da subito, dagli altri lavori comunque perché c’è Telefabbrica (la tv di strada che segue le lotte sindacali dei lavoratori della Fiat di Termini Imerese nel 2002, ndr) che è stata la prima cosa che abbiamo fatto insieme. Era di fatto un diario, un racconto giornaliero di quello che succedeva alla Fiat di Termini e quindi noi filmavamo gli operai fuori dalla fabbrica che parlavano fra di loro, i comizi spontanei. Perché comunque ti rendi conto che in qualche modo un racconto lo puoi fare anche così. Se i protagonisti parlano da soli e dopo tu col montaggio ricostruisci, dai un senso, perché chiaramente poi il documentario parte, il documentario ha un idea precisa di fondo. Ti impegna molto di più perché non è che appena accendi la telecamera tiri fuori tutto quello che vuoi sentirti dire per cui devi tenerla accesa in continuazione, quindi ti trovi poi come noi con 230 ore di filmati. Anche Ali Baba ("Ali Babà ’u Palermo in serie A ", documentario del 2004, ndr) era un lavoro in cui esclusivamente le persone che costruivano il loro racconto. All’inizio forse eravamo un po’ frastornati perché c’erano tantissime cose da mettere dentro. Dovevamo raccontare chi è Rita Borsellino, e poi da tutti i suoi incontri con le persone piano piano abbiamo preso pezzi fondamentali, il rapporto con suo fratello, il fatto che veniva criticata proprio perché rappresentava in qualche modo solo un cognome, quello che aveva fatto prima in questi 14 anni, questa prima parte si è costruita abbastanza facilmente. Il resto, essendo più d'inchiesta, non sapevamo se fosse possibile da realizzare. All’inizio avevamo pensato anche a forme di fiction, alcune poi sono rimaste nel documentario, per esempio Bellavia, il giornalista, non fa qualcosa di pilotato, però quando è in macchina con l’altro giornalista inglese, quello è stato un modo per spiegare tutta una serie di cose e forse si capisce anche che non è come il resto del documentario. Non tanto l’intervento, ma la costruzione che si utilizza per risolvere dei nodi. Altrimenti alcune volte c’è bisogno appunto di una voce fuori campo».

Avete quindi delle regole precise?
G. D.: «Certe cose non le vogliamo fare. Per esempio il discorso della musica: non c’è la musica che entra a sottolineare cose ma c’è la musica per come è stata registrata, in presa diretta».
M. B.: «All’inizio di ogni lavoro stabiliamo delle regole da seguire in quell'occasione. In questo caso pensavamo che il potere simbolico della candidatura di Rita e di Cuffaro messi insieme potesse reggere in presa diretta, che la documentazione di quel periodo lungo sette mesi di campagna elettorale potesse reggere».

Qualcos’altro da aggiungere?
L. S.: «Questo lavoro è stato interamente autofinanziato, non abbiamo ricevuto contributi. Il Dvd è disponibile presso diverse edicole e librerie di Palermo di cui si trova la lista sul nostro sito, www.playmakerproduzioni.it.

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