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Un asse monumentale liberty da scoprire: la "via Rutelliana" a Palermo

Un raffinato percorso urbano ed emotivo da esplorare: da piazza Verdi a piazza Vittorio Veneto ecco la bellezza di Palermo un tempo casa dello stile Liberty

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 23 ottobre 2017

La "Nautica" di piazza Castelnuovo a Palermo

Nel suo autoritratto bronzeo del 1905, lo scultore Mario Rutelli mi ricorda il don Chishotte di Beppe Vesco: baffi e pizzo, basco e viso triangolare, eclettico classicista, sarà l'artista raffinato e talentuoso della tridimensione Belle Epoque.

Affermato in vita ed apprezzato dalla ricca borghesia quanto dalla committenza pubblica, nasce nel capoluogo siciliano un anno prima dell'unità d'Italia e, a soli 16 anni, Mario ha già al suo attivo la realizzazione della Lirica bronzea già belle pronta per la sinistra della scalinata del Teatro Massimo.

Che talento! E poi c'è questa cosa straordinaria della linea retta rutelliana di Palermo.

Una punteggiata di opere d'arte che nell'immediatezza di emergenze monumentali di altissimo profilo architettonico, descrivono il racconto di un manuale di scultura italiana en plein air, unico per stile continuità geografica e paternità artistica.

Ne sono protagoniste silenti da piazza Verdi a piazza Vittorio Veneto, le vie Ruggero Settimo e il viale della Libertà.
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È la seducentissima Lirica (1877) di questo percorso d'iperbole artistica, ad aprirne le danze anticipando il pronao basiliano per cui giovanissimo allievo di Nunzio Morello, scolpisce i capitelli in pietra bianca di Cinisi delle alte colonne e i due imponenti mascheroni laterali del Timpano.

E da teatro a teatro, è il Politeama di Almejda a sormontarsi della imponente Quadriga di Apollo e Euterpe (1890) mentre la Nautica (1894) tiene silente la rotta da piazza Castelnuovo.

Di la da quella, stava villa Deliella, anticipata da ciò che è rimasto nella misura scultorea del monumento che corrode la pietra dedicata con tutta la potenza del bronzo a Francesco Crispi (1905).

Sta poi nel tratto minore del Giardino Inglese invece, a riposo e sedotto, l'unico Leone di proprietà negata ai Florio, quello di Caprera (1890) e sottostante il gruppo scultoreo di Vincenzo Ragusa raffigurante Giuseppe Garibaldi, unitamente ai due bassorilievi garibaldini dello sbarco marsalese e della battaglia di ponte ammiraglio (1892).

Ancora, ma nel tratto più grande del Giardino all'inglese, stanno i bimbi sugli scogli (1910) e i due marmi dei busti di Lucio Tasca (1893) e di Edmondo De Amicis (1910) con in mano il "Cuore"!

Poi più niente per qualche chilometro a esclusione di ciò che privatamente rimane celato alla vista e in custodia silenziosa dei collezionisti e degli eredi.

Ma ecco a terminale di questo viaggio, ergersi, come rarissima opera di urbatettura zeviana, a incarnare l'idea Art Nouveau di Gesamtkustwerk (opera d'arte integrale), l'emiciclo con cui Ernesto Basile nel volgere al termine della sua personale carriera, abbraccia la città tutta: l'Esedra di piazza Vittorio Veneto.

Un abbraccio in cui Rutelli si immerge componendo la partitura scultorea della base del monumento come osmotico racconto a supporto della Vittoria Alata (1911) che sormonta l'obelisco di Basile e la città stessa.

Non si astiene mai dal narrare, empatizza con turisti e residenti, assiste spettatore alle bombe cadute dal cielo nell'ultima guerra, ascolta il rumore assordante del tritolo di via D'Amelio, sente polverizzare dietro di se la Piana dei Colli, respira lo stesso nostro smog ogni giorno da più di un secolo.

Una classicità materica rielaborata alla maniera del maestro palermitano che alla luce delle performance contemporanee odierne, potremmo definire fulcro percettivo seppur nella sua immobilità perenne e stanziale, di tutta la nostra fragilità sensoriale di cui diventa presenza urbana inalienabile e punto di riferimento reale.

Non è singolare in fondo? Essere l'unico scultore protagonista della narrazione di un segno urbano che è perfettamente orizzontale e finire protagonista assoluto con un segno verticale di aspirazione alla misura spirituale che contiene il cielo e che governa la pietra.

Un fuoriclasse, Rutelli. Mai banale ne ripetitivo, artista e intellettuale impegnato, puntuale nel racconto corale del tratto storico, così come nella descrizione di un singolo attimo, leggero e sicuro di se in alto, come ben radicato al suolo quando la sua scultura sorge con forme umane e animali dalla terra.

Il tutto all'interno di un raffinato percorso emotivo che fa della modellazione manuale del grande scultore siciliano, l'ultima fase eroica della scultura urbana moderna in questa città, che ha visto sfidarsi gli dei ma che oggi, dimentica di se stessa e delle sue preziose radici Liberty, appare dimenticata da Dio.
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