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Una sit-com per “I fantastici Quattro”

  • 17 ottobre 2005

I fantastici quattro
U.S.A. 2005
Di Tim Story
Con Ioan Gruffudd, Michael Chiklis, Jessica Alba, Chris Evans, Julian McMahon

Dopo l’incursione sul grande schermo di pezzi grossi del fumetto come “Spider-Man”, gli “X-men” e “L’incredibile Hulk”, e di divi (di carta) meno noti al grande pubblico quali “Daredevil”, “Elektra” e “The Punisher”, finalmente si accendono i riflettori anche per “I fantastici Quattro”, il primo glorioso albo supereroistico partorito dalla mente di Stan Lee e dalle chine di Jack Kirby per la Marvel (correva l’anno 1961). Forse anche per questo I fantastici Quattro sono diversi dagli altri supereroi della Casa delle Meraviglie. Tanto per incominciare, non tengono nascoste le loro vere identità, ma anzi le vicende private che li riguardano fanno la fortuna delle testate scandalistiche. Poi, mentre per Spider-Man o per gli X-men, ad esempio, l’acquisizione di poteri eccezionali non rappresenta certo un dono, ma un “superproblema” che condanna il possessore alla diversità e all’esilio dagli affetti, per i Fantastic Four la faccenda è più semplice. Solo La Cosa, imprigionato in una gabbia rocciosa che gli deforma permanentemente il corpo, vive con sofferenza la sua condizione, ma gli altri, e in particolar modo la Torcia Umana, sembrano persino apprezzare le loro mutazioni genetiche. In effetti, quelli che i Fantastici Quattro devono affrontare sono piuttosto dei “miniproblemi” quotidiani, come pagare l’affitto del costoso Baxter Building, in cui vivono tutti insieme come una famiglia allargata, e più in generale risolvere i piccoli urti e battibecchi che nascono dalla convivenza di caratteri così differenti (l’impulsiva Torcia umana, l’irritabile Cosa, il riflessivo Mr. Fantastic, la protettiva Donna Invisibile). Ed è proprio la contaminazione del tipico filone supereroistico con elementi da commedia e da soap, tipica soprattutto dei primi anni di vita della serie, che si è tentato di recuperare in questa trasposizione filmica, purtroppo senza riuscire nell’impresa.

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L’azione sembra proprio non interessare al regista Tim Story, che concede agli spettatori solo una vera sequenza adrenalinica (il mastodontico tamponamento automobilistico sul ponte di Brooklyn) e un duello finale con il Dottor Destino alquanto sbrigativo. Quasi un terzo del film viene riservato alla narrazione dell’antefatto (l’incidente spaziale che mutò il Dna degli scienziati Reed Richards, Ben Grimm, Susan Storm e di suo fratello Johnny Storm, conferendogli bizzarre caratteristiche), che, invece, nel primo volume del fumetto occupava appena cinque tavole (quale mirabile esercizio di sintesi). Il resto si divide tra un insipido sottointreccio sentimentale (Susan Storm contesa da Victor Von Doom e Reed Richards) e una serie di gag e battute (soprattutto litigi tra Ben Grimm e Johnny Storm), rivolte rigorosamente a un pubblico preadolescenziale e più consone a una sit-com che a un film. Più che le discrepanze con la trama originaria (la storia di Victor Von Doom/Dottor Destino è inventata di sana pianta) – del tutto fisiologiche quando si devono adattare quarant’anni di pubblicazioni in un film di un’ora e mezza – a dar fastidio è il modo in cui la sceneggiatura ha appiattito le psicologie di personaggi, in particolar modo la Torcia umana, qui un decerebrato in piena crisi ormonal-adolescenziale, e la Cosa, che nel fumetto è un round character complesso e tormentato (la sua storia con la scultrice cieca Alicia è appena abbozzata). Quel che è peggio è che gli attori non riescono assolutamente a compensare i vuoti del copione e hanno l’aria di non essere troppo convinti di quello che stanno facendo. Jessica Alba non è niente più che esteticamente godibile (quando è visibile). Dispiace constatare che, dopo “Daredevil”, “The Punisher” e “Elektra”, un’altra licenza Marvel venga sprecata per imbastire nient’altro che il solito blockbuster estivo infarcito di effetti speciali e affidato a registi dilettanti o a starlette televisive. “I Fantastici Quattro” avrebbe meritato un ben più nobile trattamento, ma, visto il successo ai botteghini statunitensi, forse alla casa produttrice sta bene così.

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