TRADIZIONI
Mangiar bene era un'arte già in Magna Grecia: il primo libro di cucina viene da Gela
Archestrato di Gela è stato un vero e proprio precursore dei gastronomi contemporanei, un vero cultore della cucina mediterranea e delle buone maniere a tavola
									
				Un piccolo manuale dedicato agli amanti della gastronomia con tante ricette e consigli utili sulla scelta delle migliori materie prime e perfino sulle buone maniere a tavola. No, non stiamo parlando dell'ultimo libro di Cracco ma di un antichissimo poemetto in versi (molto ironico e divertente) scritto da Archestrato di Gela nel Quarto secolo avanti Cristo.
"Hedypatheia", questo il titolo dell'opera del poeta e filosofo siciliota (scritto intorno al 330 avanti Cristo), traducibile in "Poema del buongustaio" o, secondo altri, in "L'arte del mangiare", di cui oggi restano pochi frammenti tornati alla luce nel Settecento grazie a un altro siciliano illustre, lo storico palermitano Domenico Scinà.
Secoli prima di Stelle Michelin e Masterchef vari ed eventuali, Archestrato è stato un vero precursore dei nostri gastronomi contemporanei e amava viaggiare in lungo e in largo per il Mediterraneo alla scoperta delle specialità di ogni luogo che visitava, provandole personalmente e consigliandole poi ai bongustai suoi conterranei.
Per Archestrato era di fondamentale importanza che ogni materia prima venisse gustata fresca e mai fuori stagione, preferibilmente nel suo luogo di origine e seguendo ricette poco elaborate che ne esaltassero le qualità, senza coprirne il sapore e il profumo. Cosa in controtendenza con la cucina del tempo che prevedeva banchetti "baroccheggianti" e molto sofisticati con piatti spesso troppo grassi ed esagerati.
Così nel suo "Hedypatheia" si sofferma sulle migliori qualità di pane, descrivendone in modo dettagliato i metodi di impastamento e le varietà di farine utilizzate, ma anche sui migliori vini e sulla loro conservazione e soprattutto sul pesce - di cui era particolarmente ghiotto - indicandone i luoghi di provenienza, le specie più rinomate e le specifiche stagioni di pesca.
Il pesce andava cucinato intero e con le squame per non perderne il sapore autentico e a suo dire quello più gustoso era il più semplice, il merluzzo. Ma lo scettro di "re" della tavola andava senza dubbio al tonno autoctono, quello pescato a Cefalù e a Tindari.
Ma Archestrato non si limitò a scrivere di ingredienti e ricette e nel suo poemetto fece un passo in avanti precorrendo i tempi anche per quanto riguarda le buone maniere a tavola. Perché se alla base della tavola vi sono i piatti serviti durante il pasto, è pur vero che per godere appieno di tutte queste prelibatezze è necessario che il padrone di casa sappia accogliere i suoi ospiti nel migliore dei modi.
Alla base della buona riuscita di un banchetto secondo il provetto gastronomo c'era l'inderogabile regola di sedere tutti alla stessa tavola e con un massimo di tre o quattro ospiti per volta.
La sapeva lunga Archestrato che aveva capito non solo l'importanza della qualità e della freschezza dei prodotti, ma soprattutto quanto fosse importante gustarli in tranquillità. La cucina diventa rito per rinfrancare lo spirito e il corpo.
			
							"Hedypatheia", questo il titolo dell'opera del poeta e filosofo siciliota (scritto intorno al 330 avanti Cristo), traducibile in "Poema del buongustaio" o, secondo altri, in "L'arte del mangiare", di cui oggi restano pochi frammenti tornati alla luce nel Settecento grazie a un altro siciliano illustre, lo storico palermitano Domenico Scinà.
Secoli prima di Stelle Michelin e Masterchef vari ed eventuali, Archestrato è stato un vero precursore dei nostri gastronomi contemporanei e amava viaggiare in lungo e in largo per il Mediterraneo alla scoperta delle specialità di ogni luogo che visitava, provandole personalmente e consigliandole poi ai bongustai suoi conterranei.
Per Archestrato era di fondamentale importanza che ogni materia prima venisse gustata fresca e mai fuori stagione, preferibilmente nel suo luogo di origine e seguendo ricette poco elaborate che ne esaltassero le qualità, senza coprirne il sapore e il profumo. Cosa in controtendenza con la cucina del tempo che prevedeva banchetti "baroccheggianti" e molto sofisticati con piatti spesso troppo grassi ed esagerati.
Così nel suo "Hedypatheia" si sofferma sulle migliori qualità di pane, descrivendone in modo dettagliato i metodi di impastamento e le varietà di farine utilizzate, ma anche sui migliori vini e sulla loro conservazione e soprattutto sul pesce - di cui era particolarmente ghiotto - indicandone i luoghi di provenienza, le specie più rinomate e le specifiche stagioni di pesca.
Il pesce andava cucinato intero e con le squame per non perderne il sapore autentico e a suo dire quello più gustoso era il più semplice, il merluzzo. Ma lo scettro di "re" della tavola andava senza dubbio al tonno autoctono, quello pescato a Cefalù e a Tindari.
Ma Archestrato non si limitò a scrivere di ingredienti e ricette e nel suo poemetto fece un passo in avanti precorrendo i tempi anche per quanto riguarda le buone maniere a tavola. Perché se alla base della tavola vi sono i piatti serviti durante il pasto, è pur vero che per godere appieno di tutte queste prelibatezze è necessario che il padrone di casa sappia accogliere i suoi ospiti nel migliore dei modi.
Alla base della buona riuscita di un banchetto secondo il provetto gastronomo c'era l'inderogabile regola di sedere tutti alla stessa tavola e con un massimo di tre o quattro ospiti per volta.
La sapeva lunga Archestrato che aveva capito non solo l'importanza della qualità e della freschezza dei prodotti, ma soprattutto quanto fosse importante gustarli in tranquillità. La cucina diventa rito per rinfrancare lo spirito e il corpo.
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